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Cybersoviet. Utopie postdemocratiche e nuovi media
Formenti Carlo
http://www.pazlab.net/formenti/cybersoviet/
2008
Il libro che avete in mano completa una “trilogia” iniziata con Incantati dalla Rete (Cortina 2000) e proseguita con Mercanti di futuro (Einaudi 2002). Il lungo intervallo fra la seconda e la terza tappa di questo percorso di ricerca teorica non è casuale: i quasi sei anni che separano il secondo dal terzo saggio sono stati impiegati a raccogliere ed elaborare un abbondante materiale di riflessione - di cui troverete qui solo una parte1 - ma anche e soprattutto a maturare un ripensamento critico in merito ad alcune ipotesi avanzate in Mercanti di futuro. Come suggerisce il titolo volutamente “provocatorio” (parlare di cybersoviet in tempi di diffuso conformismo neoliberale rivela esplicite intenzioni “eretiche”), questo lavoro si occupa di politica, e in particolare degli effetti della rapida diffusione delle nuove tecnologie per la comunicazione sull’evoluzione dei sistemi democratici. Argomento che avevo già affrontato sia in Incantati dalla Rete - nel quale delineavo alcuni elementi di “antropologia culturale” della Rete, analizzando l’impatto dei nuovi immaginari tecnologici su relazioni sociali quotidiane, mondo del lavoro, cultura dei movimenti, sistema dell’informazione e nuove forme di creatività artistica - , sia in Mercanti di futuro - in cui l’attenzione era viceversa concentrata sulla Net Economy. Negli ultimi capitoli di quest’ultimo lavoro - completato nei mesi successivi alla crisi finanziaria di inizio millennio e all’inizio della “guerra al terrorismo”, innescata dall’evento epocale dell’11 settembre 2001 - avevo azzardato un’ipotesi: malgrado la massiccia perdita di potere contrattuale che la classe dei knowledge workers stava subendo a causa della crisi, e malgrado i tentativi di “normalizzazione” della Rete che i governi occidentali (Stati Uniti in testa) avevano avviato subito dopo l’attacco alle Twin Towers, sostenevo, restavano margini per la ricostituzione di quello che definivo Quinto Stato, vale dire il “blocco sociale” fondato sulla convergenza di valori culturali e interessi economici fra i soggetti sociali (ricercatori, hacker, comunitari virtuali, ecc.) che avevano guidato la rivoluzione digitale, e l’imprenditoria di Internet, che ne aveva sfruttato il potenziale economico. Se tale ipotesi si fosse rivelata corretta, aggiungevo, esistevano buone probabilità di un’evoluzione in senso “postdemocratico” dei sistemi politici occidentali, intesa come integrazione degli istituti della democrazia rappresentativa con nuove forme di democrazia diretta e partecipativa.
Nel giro di due o tre anni, ho dovuto prendere atto che l’ipotesi non aveva retto alla prova dei fatti: la Net Economy è sì rinata dalle ceneri della crisi, ma ciò non ha favorito la ricomposizione del blocco sociale su cui si era fondata la sua prima fase; al contrario: da un lato, l’alleanza fra knowledge workers e imprenditoria di Internet (che nel frattempo ha visto colossi emergenti come Google2 sostituire la galassia delle start up nel ruolo di protagonisti) si è definitivamente rotta, dall’altro lato, il processo di commercializzazione/normalizzazione di Internet (pilotato dalla nuova alleanza fra governi e corporation) è proseguito a ritmo accelerato, riducendo drasticamente gli spazi di democrazia partecipativa. Alle orecchie di alcuni, l’ultima affermazione potrebbe suonare strana, visto che negli ultimi anni è tornato a furoreggiare l’ottimismo utopistico dei “tecnoentusiasti”, che già aveva imperversato negli anni Novanta (in particolare, la retorica del Web 2.0, di cui mi occupo nella quarta e ultima parte di questo lavoro, sta alimentando illusioni in merito alle prospettive della democrazia digitale, identificate con il dilagare dei contenuti “autoprodotti” da parte degli utenti/consumatori, e con la crescita della comunità dei blogger, da molti identificata come il nucleo costituivo d’una “opinione pubblica digitale” sempre più autonoma dai media tradizionali). In conclusione, il “ritardo” con cui esce questo lavoro si spiega, da un lato, con la volontà di fare i conti con i limiti teorici delle mie precedenti analisi, dall’altro, con quella di finalizzare tale approfondimento teorico alla critica puntuale di una vulgata ideologica (un impasto di determinismo tecnologico, libertarismo velleitario e neoliberismo) che rischia di oscurare la dura realtà delle lotte globali per il potere cui stiamo assistendo in questo primo decennio del XXI secolo. Lo sforzo si è concentrato su quattro nodi tematici, che corrispondono alle quattro parti in cui è organizzato il lavoro.
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