Hannerz - Cultural Complexity
Pubblicato in Ossimori, periodico di antropologia e scienze umane N. 5 pp. 129-131 , 1992
Recensione a Ulf Hannerz, Cultural Complexity, Studies in the Social Organizaion of Meaning, 1992, Columbia University Press
Un polipo creolo
1. Io so, e io so che ognuno sa....
I know, and I know that everybody else knows, and I knows that everybody else knows that everybody else knows....
è questa la formula che, secondo Hannerz, riassume l'organizzazione della cultura in una "ideale" società tradizionale di piccola scala; un ambiente dove i singoli "consociati", per usare un termine di Schutz, sanno cosa aspettarsi l'uno dall'altro in quanto a conoscenze, modi di comportarsi, criteri valutativi e valori.
La cultura, come la intende Hannerz è soprattutto una questione di significati che danno senso alla realtà e permettono di agire . Come repertorio di significati, la cultura, risiede in due fondamentali luoghi: all' interno delle menti dei singoli soggetti e all' esterno, veicolata da forme e pratiche molteplici; è il doppio codice della cultura. La collocazione concettuale, apparentemente statica, produce in realtà una dinamica tra esterno e interno o, per meglio dire, tra il momento dell' 'interpretazione e quello dell'azione. Il movimento dei significati, così generato, si trasforma in un perpetuo flusso: "culturale", a cui ognuno, ,contribuisce e da cui viene a sua volta influenzato; in virtù dello scorrere, come in quello di Eraclito, non è possibile immergersi due volte in un fiume culturale sempre uguale a se stesso.
Il traffico di significati risultante, nel caso dell' ideale società tradizionale, produce un tipo di circolazione "ridondante", che riesce a creare una sorta di sicurezza cognitiva, grazie alla quale il singolare "Io" si confonde in un plurale e confortante "Noi".
Altro sembra accadere nella nostra società complessa, dove l' "I know, and I know that..." con ben maggiori difficoltà osa avventurarsi oltre i propri confini
I numerosi saperi tecnici specializzati, la burocrazia , le tecnologie culturali, la stratificazione sociale, i trasporti veloci internazionali, rendono la situazione intricata.
La grande quantità eterogenea e disorientante di significati, dispersi nello stesso ambiente, costretti ad una convivenza forzata, produce un' incredibile varietà di percorsi alternativi, offerte opzionali d'identità, che rendono difficile a chiunque una scelta definitiva e impediscono quel coinvolgimento rassicurante dell' "ideale" società tradizionale, i sentimenti prevalenti sono piuttosto quelli del sospetto o dello scetticismo: il blasé di Simmel. Insistendo con la metafora automobilistica: il traffico si fa caotico, c'è rischio di perdersi, la segnaletica poi non aiuta più di tanto, è spesso incoerente e nella sua multiformità si fa fatica a riconoscerne le regole.
Proprio la "distributività" eterogenea dei significati è per Hannerz l'altra dimensione della cultura, che insieme all' "interno", "esterno" delineati sopra, ne completa il quadro concettuale. Affrontare la dimensione distribuita della cultura è il punto cruciale di un' antropologia che voglia occuparsi della complessità socio-culturale contemporanea. Su questa linea di discorso, Hannerz accenna, criticamente a tanta etnografia tradizionale "omogeneizzante" che da "una manciata d'informatori" ricostruiva la cultura di tutti, aggiustando l'arbitrio con il tono grave dell'"autorità etnografica".
La costruzione di un modello d'analisi della cultura in termini distributivi è il tema centrale di "Cultural Complexity", ultima corposa fatica dell'antropologo svedese: Ulf Hannerz. Già noto al pubblico italiano per la recente traduzione di "Esplorando la città", (1980; trad. it. 1990, Il Mulino, Bologna) dove offriva un particolareggiato affresco storico delle vocazioni urbane nei dintorni e all'interno della storia dell'antropologia, in quest'ultimo volume Hannerz sviluppa, in chiave strettamente analitica, alcune idee già accennate nel volume del '80, intorno alla gestione culturale del significato nell'ambiente urbano.
Senza concedere nulla alla storia del pensiero più o meno antropologico, "Cultural Complexity" si propone come una sorta di morfologia sistematica della complessità culturale oltre i confini metropolitani, per un' "analisi delle modalità esistenziali del significato nella società" contemporanea complessa, come annuncia lo stesso Hannerz nelle prime pagine.
2. Sociologia della complessità: simmetrie e asimmetrie
Il primo corollario ad una visione distribuita della cultura è una rinnovata attenzione alle pratiche dell'attore sociale, intese, in questo caso, come lavoro di gestione semantica che il singolo "io", consapevole o no, intraprende quotidianamente.
La prima rappresentazione che Hannerz ci offre della cultura complessa è, in effetti, quella della "rete di prospettive", l'intricarsi e il sovrapporsi delle porzioni individuali di cultura. Utilizza il termine "prospettiva" tralasciando termini analoghi, già coniati per indicare un certo ruolo culturalmente attivo dell'individuo, come l' "habitus" di Bourdieau, l' " idioverse" di Schwartz, o il "propriospect" di Goodenough, per sottolineare il carattere posizionale della sua proposta : "People manage meanings from where they are in the social structure".
Occorre dunque affrontare il problema della descrizione dei processi culturali della complessità culturale da un punto di vista posizionale: i luoghi della struttura in cui le singole "prospettive" si formano. L'impresa viene svolta da Hannerz delineando una raffinata sociologia a doppio livello, vero baricentro teorico di tutto il volume.
Doppio livello dicevamo: il primo che possiamo chiamare "istituzionale", individua quattro cornici (frameworks): 1) la forma di vita, 2) il mercato,3) lo stato e 4) i movimenti;
Delle quattro, la prima necessità sicuramente di qualche spiegazione, mentre sulle altre, possiamo almeno in questa sede sorvolare, riferendosi a dimensioni note del paesaggio sociale contemporaneo. Il termine "forma di vita" di wittgensteiniana e winchiana memoria, è rinterpretato da Hannerz a fini strettamente analitici, per indicare una modalità di gestione culturale vicina a quella dell' "ideale" società tradizionale tratteggiata all'inizio: un settore di relativa ma stabile ridondanza culturale. La forma di vita comprende le pratiche quotidiane di produzione e riproduzione: ambienti di lavoro, relazioni di vicinato e d'amicizia.
L'importanza analitica di queste quattro cornici, è di riuscire a contenere la quasi totalità delle relazioni sociali, mentre la loro proprietà formale risiede nella diversa gestione con cui ognuna di esse gestisce il "potere" nei confronti dell'universo culturale. Accentrato e verticistico nel "mercato" e nello "stato", diffuso e policentrico nel caso dei "movimenti" e delle "forme di vita".
Ad un secondo livello Hannerz propone una descrizione più astratta. dei processi culturali in termini di simmetrie e/o asimmetrie lungo sei diverse dimensioni :1) baseline 2) input mode, 3) input quantity, 4) scale, 5) material resource linkage, 6) power linkage.
Le prime quattro si riferiscono rispettivamente al "patrimonio di conoscenze comuni", alla "qualità" e alla "quantità" delle modalità di partecipazione ad una relazione sociale interessata ad un determinato scambio culturale, infine la variabile di "scala" nelle sue variabili numeriche: uno a uno o uno a molti o molti a molti. Le restanti due dimensioni individuano, per Hannerz, proprietà date e, in qualche modo, extra-culturali di una certa relazione; extra-culturalità evidente nel caso delle risorse materiali, discutibile per quanto riguarda il legame di "potere", inteso qui come proprietà di certi soggetti di possedere una capacità, anche coercitiva, di dirigere un determinato flusso culturale.
Queste diverse dimensioni possono tutte essere misurate in termini di asimmetria per delineare le caratteristiche posizionali di una qualsiasi relazione.
Diamo qualche rapido esempio per capire cosa intende Hannerz: in una rappresentazione teatrale il pubblico e gli attori sono in un rapporto asimmetrico rispetto a "input quantity" e "input mode" gli attori recitano e parlano per ore, il pubblico può soltanto applaudire e nei casi peggiori fischiare, si suppone però un rapporto simmetrico in termini di "baseline", una sensibilità comune per il teatro .
Un'altro esempio su cui Hannerz insiste è quello dei mass media, il flusso culturale messo in atto dal mezzo televisivo imposta una relazione fortemente asimmetrica, pilotata per lo più nell'ambito delle cornici del "mercato" e dello "stato". Diverso il discorso per il rapporto pienamente simmetrico messo in atto da altri macchinari culturali: il telefono, ad esempio, un media tipico delle "forme di vita".
Nell'idea di Hannerz queste categorie arrangiate in maniera opportuna sono un valido strumento descrittivo dei diversi processi culturali della società complessa, una sorta di topografia; con cui mappare in gradi di asimmetria e simmetria le diverse configurazioni socio-culturali.
Se ogni concreto processo culturale possiede una particolare configurazione, in termini di cornici e dimensioni di simmetria/asimmetria, su di un piano macroantropologico la cultura complessa contemporanea è interessata da due fondamentali tipi di moto: quello centrifugo delle subculture , e il centripeto dell'apparato culturale. Inteso quest'ultimo come una serie di istituzioni operanti su linee generalmente asimmetriche ( scuola, stato, mass-media, mercato), e le subculture come processi operanti su linee generalmente simmetriche (bande, movimenti giovanili, amicizia ..).
Il punto d'incontro tra l'apparato culturale e le sottoculture è, secondo Hannerz, da ricercare proprio nelle singole prospettive, E' qui che le asimmetrie dell'uno e dell'altro si incontrano come problema di gestione culturale da risolvere individualmente o su base collettiva. Ma la prospettiva resta una "struttura biografica" irriducibile a facili generalizzazioni del tipo: "l'abitante della società complessa pensa che....".
3. Immagini di complessità: polipi creoli e città
Prendendo a prestito un'immagine di Geertz, Hannerz rappresenta la cultura complessa con l'immagine del polipo. Un essere certamente non elegante, ma che trae considerevoli vantaggi proprio dai suoi difetti estetici. . L'immagine viene utilizzata per suggerire l'idea che i sistemi culturali difficilmente possono essere coerenti e complessi nello stesso tempo: la combinazione potrebbe risultare fatale. La forza della cultura complessa è proprio nel suo essere "spuria", nella sua scoordinazione; insomma se un tentacolo del nostro polipo venisse bloccato, altri cento avrebbero ancora buone possibilità di movimento.
Se un animale marino suggerisce la forma della società complessa, un aggettivo esotico ne suggerisce i contenuti: creolo.
La globalizzazione dei processi culturali ha prodotto quello che Hannerz chiama "Global Ecumene" una crescente interconnessione multilivello tra centri e periferie. Il risultato di questi processi sarà difficilmente un'omogenea e indifferenziata cultura mondiale; il prodotto dei vicendevoli scambi, non sempre asimmetrici, sarà/è secondo Hannerz, una cultura creola, dove , ad esempio, la musica della periferia non è solo folklore da archiviare in qualche museo, ma World Music che si insinua nella cornice del mercato. Nel "global ecumene" città come New York, Londra, o Parigi sfuggono al controllo della nazione di appartenenza, per diventare parti estese delle società della periferia, dove, ad esempio, i gruppi di intellettuali rifugiati continuano ad elaborare cultura anche critica per la nazione lontana (vedi il caso di Taslima).
Sul ruolo funzione dei grandi centri urbani nella società complessa, Hannerz offre tre esempi , questa volta tratti dalla storia e dall' alta cultura: Vienna fin-de-siècle, Calcutta nel diciottesimo secolo e S. Francisco nel periodo della Beat Generation. Senza addentrarci nei particolari, queste tre città, in questi determinati periodici storici, hanno permesso un flusso culturale incredibilmente fecondo ricco, di scambi ravvicinati tra tradizioni culturali diverse, e, in ultima analisi, tra "prospettive" diverse.
La cultura del "global ecumene" è, in effetti, prevalentemente una cultura urbana, che si snoda tra le grandi metropoli del pianeta Londra, New York, ma anche Lagos e Tunisi, ognuno collegato ai propri hinterland più o meno ecumenizzati.
Un'incredibile concertazione di centri e periferie legate tra loro dai mille e uno tentacoli del polipo creolo.
Vincenzo Bitti
Pubblicato in Ossimori, periodico di antropologia e scienze umane
N. 5 pp. 129-131, 1992 |