(recensione) "Posse Italiane. Sottoculture d'assalto" in Ossimori, periodico di antropologia e scienze umane , 3, , pp.95-96
Sottoculture d'assalto
Posse Italiane Centri sociali, underground musicale e cultura giovanile degli anni '90 in Italia 1992
di Carlo Branzaglia, Pierfrancesco Pacoda, Alba Solaro.
Tosca edizioni.
Ci voleva questo piccolo atlante per orientarsi nell'intricata realta' delle controculture giovanili nostrane. "Posse Italiane" si presenta così come una sorta di visita guidata alle tendenze "contro" che hanno attraversato e continuano ad attraversare l'Italia piu' o meno giovane di quest'ultimo decennio.
Un atlante sì, ma anche una testimonianza, a tratti appassionata, che sotto le varie "macerie ideologiche", in barba allo yuppismo e l'individualismo predicati come credo degli anni'80', qualcosa covava ancora.
Tre saggi provano a raccontarci la storia di questa "resistenza-sopravvivenza" da tre diversi punti di vista ; i luoghi e gli spazi: "Il cerchio e la saetta : Centri Sociali in Italia" di Alba Solaro; la musica e i suoni, le "posse" appunto: "L'antagonismo in musica. Posse in azione" a cura di Pierfrancesco Pacoda; l' armamentario tecnologico informatico come nuovo mezzo di liberazione sociale in "Network alternativo tra Cyberpunk e realtà virtuale" a cura di Carlo Branzaglia.
Dei tre saggi è sicuramente il primo che risulta più convincente.
La Solaro ricostruisce bene il filo, più o meno rosso, che lega l'esperienza dei centri sociali autogestiti delle periferie di oggi, alle esperienze delle case del popolo e/o dei circoli del proletariato giovanile degli anni '70. Il centro sociale nelle sue origini era un luogo dove poter avviare una ricerca su un nuovo modo di fare politica, ma contemporeaneamente anche uno spazio fisico dove poter sfuggire all'emarginazione metropolitana, verso cui lo sviluppo urbano post-industriale, spingeva fasce sempre piu' larghe della popolazione . Il centro sociale si trasforma cosi'negli anni 80', in epoca di annacquamento ideologico, uno spazio geografico e mentale di "resistenza", alla societa' costituita, all'alienazione, all'emarginazione certamente, ma anche, e più drammaticamente ed immediatamente, al mostro dell'eroina, che imperversa nelle grigie periferie sub-urbane : "Se sei fatto non entri nel centro sociale, ma se il giorno dopo torni e non sei fatto allora puoi entrare ", una regola semplice che la dice lunga sul terrenno sociale da cui nascono queste realta'.
Centro sociale dunque come punto di resistenza alle logiche "perverse"del capitale avanzato, che commercializza anche il tempo libero e tiene fuori chi non se lo puo' permettere: autogestione, occupazione di spazi inutilizzati della citta', prezzi politici in birreria , concerti a sottoscrizione; esperimenti di un laboratorio alla ricerca di una nuova socialita'.
Meno esaustivi gli altri due saggi, pieni, per lo più, da un' interminabile sequela di nomi e sigle dei protagonisti dell'antagonismo musicale e telematico italiano. Nel saggio di Pacoda sulle "Posse" sembra poi filtrare un' azzardata identificazione tra hip-hop e cultura del centro sociale; non tutto l'hip-hop italiano è assimilabile agli esiti politicamente antagonistici dei centri sociali, estese frangie dell'hip-hop nostrano si configurano piuttosto come una vera e proria sottocultura con un suo stile complessivo ben identificabile ma ben lontana dalle posizioni antagoniste dei Cs.
Un elenco certamente utile, ma che contribuisce poco alla comprensione del fenomeno per i non adetti ai lavori, l'impostazione dei saggi di Pacoda e Branzaglia sembra piuttosto tradire un uso "interno", che ovviamente non ha mancato di destare polemiche tra i diretti interessati per le ovvie dimenticanze degli autori .
Vincenzo Bitti
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