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EDUCARE ALLA COMPLESSITÀ'
Diritti umani e intercultura

 

1. Multiculturalismo e Intercultura definizioni

2. I Diritti umani tra etnocentrismo e universalismo

Riferimenti bibliografici

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1.Multiculturalismo e Intercultura definizioni

I termini "multicultura" e "intercultura" sono spesso utilizzati come sinonimi e in maniera indifferente. In realtà, le due definizioni rimandano a significati diversi. Il termine "multiculturale" ha una connotazione descrittiva che rende conto della pluralità degli elementi in gioco, descrive le situazioni di coesistenza di fatto fra culture diverse. La multiculturalità, come attributo del nostro presente, è dunque una caratteristica costante della nostra quotidianità che si materializza continuamente davanti ai nostri occhi in mille forme diverse. Globalizzazione , interdipendenza delle economie, flussi migratori, l'annnulamento reale delle distanze dovuta al progresso tecnico, dall'areo alla telematica, i mass media tradizionali hanno prodotto uno scenario che ci mette continuamente a confronto con "molte culture", mondi che, fino a non molto tempo fa, erano percepiti come lontani, alcuni esotici, collocati comunque lontano, da qualche parte oltre le colonne d'ercole dei nostri riferimenti abituali.


Non si tratta, dunque, di essere soltanto civili e solidali con l'immigrato extra-comunitario, ma saper progettare delle pratiche di relazione in rapporto a uno scenario globale e locale sempre più complesso. In questa situazione franano vecchie certezze e modelli d'identità troppo ristretti.
Si sente dunque forte e richiesta da più parti l'esigenza di una base comune da cui partire, da cui articolare queste relazioni differenziate; di una base comune, ma rispettosa al tempo stesso delle diversità culturali e individuali di tutti.


E' questo il tema dell' intercultura: la necessità di un terreno comune di dialogo, di un codice di comunicazione che consenta un rapporto pacifico e civile con le molteplici diversità che percorrono le nostre realtà quotidiane.
L'intercultura, dunque, diversamente dal multiculturalismo è un qualcosa da costruire, un processo da avviare, un fare. Il multiculturalismo è, consapevoli o no, un dato di fatto ineludibile.


Perchè questa situazione non diventi esplosiva, generatrice di paure e conseguenti pericolosi arroccamenti di identità, occorre lavorare tutti insieme e da subito alla formazione di una base di comunicazione che, in mancanza di termini migliori, possiamo chiamare appunto intercultura.
Quì vorrei aprire una parentesi e cercare di dare al termine multicultura un ulteriore connotazione, legandola non solo alla presenza di immigrati extracomunitari, persone di colore o simili.


Quando discutiamo di multicultura, dovremmo implicare anche rapporti con gruppi umani e realtà interne alla nostra società: qui penso ai deboli , ai bambini, gli anziani, emarginati, i handicappati a quanti portatori di diritti non hanno spesso il potere di farli valere ed affermare. Ma penso anche a uno stile civile di confronto tra gruppi di opinione; a volte, forse in maniera impropria, parliamo di cultura di destra e di sinistra, di classe, di cultura delle minoranze e via dicendo.


Insomma credo che l'educazione multiculturale coincida in gran parte con l'educazione civica globale del cittadino. Un'educazione alla complessità del nostro presente, al rispetto e ad un atteggiamento confronto civile con chi, in un modo o nell'altro, si presenta come diverso da noi.
La costruzione di un intercultura concepita come : "sviluppo di abilità di pensiero, che possono contribuire al cambiamento di atteggiamenti e di comportamenti per correggiere giudizi stereotipati e preconcetti" (Lynch 1993:88) è il compito che la scuola di oggi deve affrontare senza rimandi ulteriori.


Un codice a disposizione è quello della Dichiarazione Univerale dei Diritti Umani del 1948, come afferma ancora Lynch:

"i Diritti Umani rappresentano il solo codice universalmente riconosciuto per regolare il comportamento umano attraverso tutti i liveli e dimensioni del curriculum multiculturale globale; i Diritti umani superano la diversità culturale nella prospettiva di una comune umanità, di valori e diritti comuni. Sotto questo aspetto, essi rafforzano il senso della somiglianza e delll'unità umana, e inoltre gli atteggiamenti di reciprocità e solidarietà, che sono al centro di un curriculum multiculturale globale. essi diminuiscono, anzichè acccrescere, la salienza della categoria sociale . Essi soltanto abbrracciano e comprendono ogni diversità culturale" (Lynch 1993:86)

E' importante sottolineare il passo in cui Lynch afferma che i diritti umani diminuiscono invece che accrescere la salienza della categoria sociale sullo sfondo di una comune umanità. Spesso le proposte di educazione multiculturale si sono soffermate su una presentazione catalogativa dei tratti culturali di uno o l'altro popolo, hanno sottolineato in maniera marcata le diversità culturali con la convinzione che la conoscenza e l'informazione possano di per se diminuire il pregiudizio e l'intolleranza.
In questo tipo di strategia c'è invece spesso il rischio di accrescere la diversità e la discriminazione nei confronti dell'altro, oggettivato in una serie di pratiche inusuali e spesso incomprensibili.


L' educazione interculturale deve agire prima di tutto alla formazione di un terreno e di un atteggiamento capace di recepire la diversità culturale, attraverso un ethos, se non di accettazione , almeno di comprensione. Dico di non accettazione perchè a volte è difficile, è inutile negarlo, accogliere alcuni elementi culturali percepiti dall'Occidente come pratiche contro l'individuo ( vedi la questione del Chador in Francia o alle pratiche di mutilazioni sessuale ).
Queso humus di base è possibile crearlo proprio dalla diffussione di quella che chiamo cultura dei diritti umani. Credo inoltre che una strategia complessiva di educazione debba contemporaneamente inserire un approccio "scientifico" al tema della diversità culturale, penso quì, ad esempio, all'introduzione nei curricola scolastici di elementi di antropologia culturale. Scienza che per suo stauto riflette sulle diversità culturali umani in senso comparativo e globale

 

2. I Diritti umani tra etnocentrismo e universalismo
Che l' enunciazione dei diritti umani, così come li troviamo espressi nei suoi 40 articoli, approvati la mattina del 10 aprile 1948 a Parigi dall'Assemblea delle Nazioni Unite, diventi una base interculturale è comunque passibile di qualche dubbio.
La dichiarazione nei suoi contenuti è certamente il punto d'arrivo della tradizione del pensiero liberale occidentale, forse la realizzazione più alta del progetto occidentale che dalla Magna Charta in poi ha tentato di costruire una società di uomini liberi e felici.


In tal senso i Diritti Umani sembrano l'espressione di un unica cultura , etnocentricamente viziati da una pesante eredità.
Una risposta classica a questo tipo di riserve è di tipo filosofico e afferma che i principi etici in generale, come i Diritti Umani appunto, trovano la loro giustificazione più profonda nella vera essenza umana, argomentazioni queste di tipo platoniche o kantiane, che poco varrebbero per la reale efficacia pratica e l'urgenza di regole di cui ha bisogno la comunità umana. Slitteremeo inevitabilmente su un terreno scivoloso, nelle varie metafisiche , nel teologico, con enormi problemi, questa volta si ,di comunicazione tra culture diverse.


Perche' non la Bibbia risponderebbe il cattolico, o il Corano risponderebbe il Musulmano?
Un'altra riserva che mina internamente l'universalità dei Diritti umani risiede poi nel carattere fondamentalmente scettico del pensiero occidentale, una cultura che in nome della scienza ha istituzionalizzato il dubbio come molla di progresso.


Vorrei quì riportare brevemente, in conclusione di questo intervento, le argomentazionii d due filosofi che, pur occidentali entrambi, hanno contribuito non poco alla decostruzione delle certezze su cui si è sviluppato il pensiero forte della scienza e del liberalismo classico, bandiere della nostra tradizione culturale : Richard Rorty e Jean-Francois Lyotard.
Proprio perchè il loro lavoro si è distinto per un accanita decostruzione dei fondamenti filosofici del pensiero liberale e della tradizione occidentale , forse è possibile che proprio da questo genere di impostazione, si possano individuare solidi argomenti di tipo interculturale.
Premettiamo che tutti e due, dal loro punto di vista, sono comunque favorevoli alla difesa e allo sviluppo di una cultura dei Diritti Umani.
Lyotard è il filosofo della postmodernità, una visione dell'epoca contemporanea, come fine delle grandi narrazioni, della possibilità di dare un senso complessivo al percorso storico, della frammentazione di tutti i discorsi in aree limitate di senso.


Egli sviluppa la sua argomentazione proprio dalla individuazione una caratteristica del linguaggio umano fatto di segni:

"Questi segni arbitrari, la cui combinazione segue a sua volta regole arbitrarie, seppure fissate definitivamente dalla strutture sintattiche, rendono possibile designare come proprio referente qualunque oggetto, reale o non reale, interno o esterno, assegnandogli allo stesso tempo qualche significato. Inoltre, ed è il punto che per noi riveste maggiore interesse, questo atto del significare comporta un destinatario." (Lyotard, 1995)

La comunicazione umana ha nell'interlocuzione dunque il suo carattere distintivo:

"Io è colui che parla in questo momento: tu è colui al quale la comunicazione in questo momento e' destinata. Il tu tace mentre l'io parla, ma il tu può parlare , ha parlato parlerà" (Lyotard, cit.)

Questa equivalenza tra chi parla e ci ascolta costituisce secondo Lyotard, la base delle relazioni sociali di eguaglianza. Appare la figura dell'altro che risiede in noi, nella misura in cui l'altro è il potenziale interlocutore del parlante.

 

Proprio nella natura interlocutoria del discorso umano, con la sua intrinseca eguaglianza sul piano dello scambio che essa implica, Lyotard individua il principio capace di generare il diritto alla libertà di espressione.


Tuttavia Lyotard tende a precisare che il diritto alla libertà di espressione deve essere conquistato. L'allievo o l'allieva cui tocca sottostare alla disciplna del silenzio durante la spiegazione del maestro acquista il diritto di parlare quando ha qualcosa di significativo da dire, o meglio da "annunciare". Nella comunità civile la facoltà di interlocuzione e la legittimazione del discorso si fondono in unico diritto positivo, nel diritto insomma anche di poter superare il maestro e di dire cose diverse da lui.
Ma nella concreta vita sociale serpeggia sempre la la minaccia all'esclusione dalla comunità interlocutoria. In senso positivo tale minaccia è da intendersi come sanzione finalizzata a imporre il rispetto dei diritti di interlocuzione dell'altro.


Se tale attuazione fosse ingiusta Lyotard ritiene che una simile esclusione sia sempre un danno gravissimo. Si tratta infatti di una sorta di esclusione dall'umanità stessa, la cui forma estrema è rappresentata dalla pena di morte. Essere impossibilitati a dichiarare la propria condizione, essere completamente esclusi dall'interlocuzione, come è il caso delle vittime dei campi di concentramento, significa toccare il fondo dell'abiezione, cose che è forse impossibile tradurre nel discorso delle nostre comunità.


Rorty parte da un ' altra constatazione affermando che spesso le violazioni dei diritti umani non sono considerate tali da chi ne è responsabile, poichè "questi uomini" non sono percepiti come esseri umani nel senso proprio della parola: essi infatti sono visti come "animali, come bambini o semplicemente come donne e in quanto tali meno che umani".
In altre parole è la cultura di questi uomini che impediscel di estendere il loro concetto di umanità a chi è diverso .


In un saggio intitolato "La priorità della democrazia rispetto alla filosofia", Rorty sostiene che non vi è alcun fondamento superiore, alcuna filosofia della politica sottostante alla cultura collettiva ufficiale dello Stato liberale: non esiste nessun fondamento se non quello , debole, che Rawls definisce la "sovrapposizione del consenso". Ribadisce chel'unica cosa che esiste veramente è la cultura diffusa che cicola tra i diversi gruppi umani e li caratterizza:


"C'è un desiderio crescente di lasciar cadere la domanda: <<qual'è la nostra vera natura?>> per sostituirla alla domanda : <<Che fare di noi?>>. Siamo molto meno propensi dei nostri progenitori a prendere seriamente le << teorie sulla natura umana>>, molto meno propensi a fare dell'ontologia o della storia il principio-guida della nostra vita. Siamo arrivati a capire che l'unica lezione che ci viene tanto dalla storia quanto dall'antropologia è la consapevolezza della nostra straordinaria malleabilità. Tendiamo ,ormai a vederci come un animale flessibile, proteiforme, capace di darsi la forma che vuole, anzichè come un animale razionale, oppure un animale crudele" (Rorty 1994 : 132.)


Dalla malleabilità dell'uomo e dal primato della cultura deriva che la diffusione dei principi espressi nei diritti umani dipende dal progresso dell'educazione dei sentimenti:


"L'obiettivo di questa manipolazione dl sentimento è estendere il referente concreto di espressioni come <<la nostra gente>> e <<le persone come noi>>"(cit. 139)


La speranza nella forza della ragione, nell'indagine filosofica è un' illusione; la speranza di un progresso nella cultura dei diritti umani risiede soltanto nelle storie capaci di comunicare sentimenti, nell'amicizia , nei matrimoni misti e nel modo in cui educhiamo le nuove generazioni, ovvero nel continuo progresso dell'educazione sentimentale.
La sua sostiene Rorty, non è una concezione meta-etica, ma pragmatica, per la promozione dei diritti umani una ricerca astratta della conoscenza della natura umana risulta molto meno efficace di una narrazione sentimentale,.i diritti umani si impongono per la loro necessità pratica, non razionale, per una ragionevolezza che non ha bisogni di fondamenti.

"Oggigiorno dire che noi siamo animali intelligenti non ha più alcuna risonanza filosofica, e neppure una connotzione pessimistica; significa soltanto fare un affermazione che ha valore politico e di speranza: ovvero dire che se saremo capaci di lavorare insieme potremo fare dinoi tutto ciò che saremo abbastanza intelligenti e coraggiosi da immaginare. Sicchè la domanda di Kant << Che cos'è l'uomo?>> si fa da parte e viene sostituita dalla domanda << Che tipo di mondo vogliamo costruire per i figli dei nostri nipoti ?>>" (cit:138).

Vincenzo Bitti

 

Riferimenti bibliografici

Amnesty International, Itinerari Didattici, 1992


AA.VV. I diritti umani, Oxford Lectures, a cura di S. Schute e S. Hurley, Garzanti, 1995.


AA,VV, Nord-Sud . Educazione alla mondialità, Valore Scuola,1991


Clemente, P., "Memoria e Multiculturalismo", in Giusti, M. ( a cura di), L'educazione
interculturale nella scuola di base,


Giusti, M. ( a cura di), L'educazione interculturale nella scuola di base, La Nuova Italia.


1994.
Lynch J, Educazione multiculturale in una società globale, Armando, 1993


Lyotard J.F., "I diritti dell'altro", in I diritti umani, Oxford Lectures, Garzanti, 1995.


Rorty, R. Diritti umani, razionalità e sentimento, in I diritti umani, Oxford Lectures, Garzanti, 1995.

 


 

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