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Pubblicato nel catalogo della mostra Lo stupore della Diversità, pp.67-74, Euroma, 1994

 

Il tramonto del Buon selvaggio.
Razzismo scientifico nell'epoca pre-darwinista

 

1. L'Illuminismo e i Primitivi

2. L'emergere del concetto di razza

3. I metodi del razzismo scientifico

4 Scienziati razzisti

Riferimenti bibliografici

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1. L'Illuminismo e i Primitivi

Le riflessioni intorno al "selvaggio" non hanno rappresentato un oggetto specifico nelle meditazioni dei philosophes. I "primitivi" che saltuariamente le popolano venivano piuttosto utilizzati come "soggetti metaforici, specchi più o meno deformati in cui l'europeo civilizzato poteva vedere raddrizzata la sua scomposta figura"(Fabietti 1991:3).


Un esempio famoso può chiarire quanto andiamo dicendo. Il “buon selvaggio”, il primitivo nobile e virtuoso di Jean-Jacques Rousseau viene utilizzato all'interno di una critica politica e sociale sulle condizioni di vita dell'uomo "civilizzato" europeo, come immagine, ideale appunto, di un altrettanto immaginario stato di natura, rinforzata qua e là da una certa letteratura esotizzante prodotta da viaggiatori ed esploratori.


I grandi temi dell'Illuminismo gettano comunque le basi di una matura "scienza dell'uomo" di portata universale, attenta alla complessità e alla varietà del genere homo. Come insegnava la tradizione razionalista, l'uomo si distingue per essere dotato di ragione; seguendo l'empirismo di Locke, non possiede idee innate quindi è perfettibile e trasformabile ad opera delle leggi e dell'educazione, ma è anche un essere naturale plasmabile dall'ambiente in cui vive, secondo la dottrina sensista di Condillac.


La realizzazione di un programma di ricerca guidato da questi princìpi si ebbe in Francia con la creazione della Sociète dés Observateurs de l'Homme da parte di Louis Francois Jauffret nel 1793. Lo scopo che si proponeva, come dice il nome stesso della società, era quello di osservare l'uomo nella sua variabilità fisica, linguistica geografica e culturale.


Nel 1800 la Societè di Jauffret si fa promotrice di una spedizione scientifica in terra australiana. Nei programmi di osservazione redatti da due insigni consulenti, troviamo le indicazioni che anticipano i futuri sviluppi della "scienza dell'uomo".
Il promemoria scritto dal cittadino Degérando: "Considerazioni sui diversi metodi da seguire nella osservazione dei popoli selvaggi" (1800) è una testimonianza preziosa dell'atteggiamento verso i primitivi che animava i philosphes .
Per lo scienziato-filantropo francese l'interesse per i primitivi si inserisce nel contesto più generale di una scienza dell'uomo rivolta a scoprire le leggi del comportamento e dello sviluppo umano.


L'osservazione, secondo Degérando, deve cominciare da un' analisi dell'ambiente naturale e delle caratteristiche fisiche individuali per poi passare agli aspetti mentali e culturali. Un interesse diverso e ben più specifico anima l' altro insigne collaboratore della spedizione australiana: il naturalista Georges Cuvier, il "Napoleone della scienza", prosecutore dell'opera di Linneo.
Nelle sue "Istruzioni per le ricerche da condurre in relazione alle differenze anatomiche fra le diverse razze dell'uomo" (1800), Cuvier raccomanda allo scienziato-osservatore di raccogliere nella maniera più accurata possibile crani e scheletri per il lavoro di comparazione; un'esigenza determinata dalla mancanza, all'epoca, di questo tipo di materiali a disposizione dell'analisi scientifica : "Si potrebbe credere che non c'è una comparazione dettagliata di uno scheletro di un negro e di un bianco ?" (cit in Stocking 1985:72).


"L'interesse centrale di Cuvier" afferma Stocking, "era rappresentato dalla 'razza', dalle differenze fisiche ereditarie permanenti che distinguono i gruppi umani.... Il suo attegiamento verso il selvaggio era piuttosto quello del ladro di cadaveri che del filantropo e a dire il vero per quelli che erano gli scopi dell'anatomia comparata si sarebbe quasi potuto dire che il solo indiano buono era l'indiano morto" (cit.:73).
Cuvier inaugura un indirizzo di ricerca sulla diversità umana mosso dalle preoccupazioni dell'anatomia comparata sostanzialmente statica e non evoluzionistica, destinato a connotare la nascente scienza antropologica per tutto il XIX secolo.

 


2. L'emergere del concetto di razza
Così, con Cuvier, la scienza dell'uomo vira lontano dalle premesse illuministiche, scegliendo di concentrarsi sui problemi della classificazione della specie umana sulla base delle differenze non solo fisiche, come ci si sarebbe aspettato, inaugurando un indirizzo di studi del tutto legittimo che sarà poi l'antropologia fisica, ma anche su quelle morali e intelletuali.
Secondo Cuvier il genere umano era diviso in tre sottospecie principali: la caucasica, da cui discendevano gli europei, la mongola e la negra. Banton (1987:29) sottolinea l'indeterminatezza del significato del termine "razza" così come viene usato da Cuvier. Nel "Le Règne Animal" del 1817, nella sezione intitolta "Varietà della specie umana" scrive:
"Quoique l'espèce humaine paraisse unique, puisque tous les individus peuvent se meler indistinctement, et produire des individus féconds, on y remarque de certaines conformations héréditaires que constituent ce qu'on nomme des races".(cit. in Banton 1987:30)
Cuvier rende razza e varietà sinonimi, confondendo il riferimento ad una classe, come strumento di classificazione ideale nella linea di Linneo, con un riferimento alle origini; nelle traduzioni inglesi questa confusione è palese e nei passi in cui Cuvier usa il termine "razza" si trova spesso "varietà".
Malgrado le ambiguità del significato sospeso tra classificazione e discendenza, il concetto di razza comincia ad assumere un ruolo centrale nelle spiegazioni delle differenze tra i vari gruppi umani. Stocking sintetizza bene questo percorso attraverso l'analisi delle idee che lo stesso Cuvier ebbe sul tema in diversi periodi della sua vita.
Fino al 1790 il giovane naturalista credeva, come gli illuministi, che la scarsa intelligenza riscontrata nei negri fosse il risultato di una mancanza di civilizzazione e dunque rimediabile se sottoposti alle giuste influenze. Nel 1817 cominciano ad apparire affermazioni diverse, secondo il Cuvier più maturo ad esempio la civiltà egizia non era stata creata certamente da una qualche razza negra "ma da uomini della nostra stessa razza", idea che verrà ripresa più tardi dall'americano Samuel Morton, fondatore della prima scuola d'antropologia americana, nel suo "Crania Egyptica" del 1844. Descrivendo le tre varietà della specie umana, il naturalista francese sosteneva che la razza mongolica era rimasta stazionaria, mentre l'africana non era mai progredita oltre la barbarie, concludendo che "Esistono cause intrinseche che sembrano arrestare il progresso di certe razze, anche nelle circostanze (ambientali) più favorevoli"(in Stocking 1985:39)
Viene così ad associarsi all'idea di razza quella di civiltà; le conquiste del progresso in tutte le loro manifestazioni (artistiche, scientifiche, tecnologiche) sono mete raggiungibili solo da determinati gruppi umani, razze appunto, in virtù della loro particolare conformazione biologica e fisica, superiori per natura e per grazia divina.
Il razzismo si avvia così a diventare l'ideologia dominante del XIX secolo, un'ideologia che calzava perfettamente al crescente sviluppo industriale capitalistico nella fase più violenta del suo espansionismo con la formazione dei grandi imperi coloniali. Il "buon selvaggio" si trasformava così nell'appartenente ad una razza degradata, esclusa "per natura" dalla civiltà; il colonialista europeo poteva scegliere, a seconda del caso, tra un atteggiamento paternalista come nunzio della buona novella del progresso, oppure, se le condizioni lo richiedevano, distruggere senza tanti rimorsi individui, forse degli uomini, appartenenti ad una razza inferiore. Afferma Harris:
"Il determinismo razziale fu la forma che assunse l'avanzante onda della scienza della cultura, mentre si frangeva sulle rive del capitalismo industriale. Fu in questa veste che l'antropologia conquistò un ruolo positivo al fianco della fisica, della chimica e delle scienze dela vita nell'appoggio e nella diffusione della società capitalistica......Prima del diciannovesimo secolo, le nazioni non avevano mai pagato i loro studiosi perchè dimostrassero che la supremazia di un popolo sull'altro fosse il risultato inevitabile delle leggi biologiche dell'universo" (Harris 1969:110).
D'altro canto, oltre che a supportare la retorica del progresso, il razzismo scientifico poteva essere usato come giustificazione di un'istituzione oramai sulla via del tramonto: lo schiavismo nelle piantagioni americane.


3. I metodi del razzismo scientifico

Il razzismo scientifico, nella sua essenza concettuale, presuppone che le differenze e le somiglianze socio-culturali tra le popolazioni umane siano elementi dipendenti da un repertorio genetico fisso e limitato ad un determinato gruppo. Il punto di debolezza della posizione razzista sta nell'impossibilità di individuare queste componenti ereditarie in quanto inaccessibili all'osservazione. Il procedimento razzista è basato sulla scelta arbitraria di una serie di elementi fisici, morali o comportamentali, di solito molto diversi da quelli dell'osservatore, e sull'associazione di questi attributi a particolari qualità ereditarie.
"Se il nostro compito è di spiegare il complesso culturale che tra gli Indiani Crow e gli Indiani Piedi Neri si accentra attorno all'uso del cavallo , niente è più facile e meno vulnerabile di fronte alla sfida di una prova empirica che attribuirlo ad un istinto equestre"(cit.:110).


L'oggettività delle affermazioni razziste, non era comunque ricercata nei misteri della genetica, scienza del tutto sconosciuta a quei tempi. La pratica scientifica più accreditata per indagare le componenti innate dell'uomo, era la frenologia di Joseph Gall, inventata verso il 1825, per la quale la mente umana possedeva trentasette facoltà la cui intensità poteva essere constatata misurando le corrispondenti regioni del cranio.


Stigmatizza efficacemente Harris:
"Le misurazioni frenologiche erano notoriamente imprecise , e l'intero sistema funzionava come una specie di test proiettivo in cui l'osservatore poteva agganciare i suoi pregiudizi a sporgenze e irregolarità del tutto arbitrarie trovate sulla testa del soggetto dei suoi studi"(cit.:135).
Su queste basi, il medico di Philadhephia Samuel Morton, misurò la capacità di circa 276 esemplari di crani provenienti da diverse parti del mondo, con l'assunto che ad un grande cervello debba necessariamente corrispondere una maggiore capacità intellettuale. Nella nota finale del suo lavoro "Crania Americana", (1839)a.cura del suo allievo frenologo George Combe, sono riportati i risultati dell'analisi: la razza Caucasica (87) risultava la più "capace", seguita dalla Mongola (83), poi la Malese(81)e l' Amerindiana (81) e, neanche a dirlo, l'Etiope (78) risultava ultima in classifica.


Per comprendere l'apporto ideologico che guidava queste misurazioni, bisogna considerare che un cranio di per sè non può fornire alcuna indicazione circa l'età, il sesso e l'altezza del soggetto, tutti elementi questi che condizionano il volume del cranio, inoltre le misurazioni di Combe erano in netta contraddizione con le affermazioni che lo stesso Morton faceva nel corso del libro, secondo cui la testa del progredito americano è più piccola di quella del cosidetto uomo primitivo (Boas 1972).La nota ha la sua importanza storica in quanto fu copiata da Carl Gustav Carus, attraverso la cui mediazione passò in Europa , per arrivare poi tra le mani di Gobineau, come vedremo tra poco.


Recentemente Sthephen Jay Gould (1981) ha riesaminato i teschi di Morton usando tecniche di misurazione perfezionate concludendo che la capacità interna media dei Mongoli e dei Caucasici è uguale: 87 c.i., quella degli amerindiani 86 c.i ed Etiopi 83 c.i.. Gia nel 1912 Franz Boas nel suo studio "Changes in the Bodily Form of Descendants of Immigrant" aveva dimostrato che la forma della testa degli immigrati americani mutava in risposta ai fattori ambientali nel giro di una sola generazione.


Josiah Clark Nott, discepolo di Morton portò alle estreme conseguenze il discorso sulla razza, arrivando ad affermare che Dio aveva creato fin dall'inizio del mondo diverse specie umane separate, ognuna con una propria natura fisica e morale "costante" e "inalterabile", adatta all'ambiente geografico in cui vive. La teoria di Nott, nota con il nome di "poligenismo", aveva però il difetto di sconfessare il "monogenismo" del racconto biblico del progenitore unico, di qui la resistenza ad accogliere la tesi delle specie multiple da parte del sud che, benchè schiavistico, era comunque molto religioso.


Nott espose la sua teoria, insieme a George R.Gliddon viceconsole al Cairo, nel volume "Types of Mankind" (1854), il punto di vista poligenetico si fondava su di una argomentazione scientifica coerente con le conoscenze archeologiche dell'epoca: era trascorso troppo poco tempo, si diceva, dalla creazione della terra alle prime apparizioni delle diverse razze, così come vengono testimoniate dall'archeologia, perchè queste siano il frutto dell'isolamento o dei condizionamenti dell' ambiente : "Per stabilire la data dell'origine della terra, questi studiosi potevano scegliere tra tra il 3700 a.C. (secondo le fonti rabbiniche), il 5199 a.C., (secondo l'edizione della vulgata di Papa Clemente) o il 4004 a.C. secondo o il 4004 a.c (secondo il commento dell'arcivescovo Ussher alla Versione Autorizzata della Bibbia pubblicata sotto Giacomo d'Inghilterra"(cit.:117).

 

4 Scienziati razzisti
Procediamo ora ad una breve rassegna delle diverse versioni del razzismo scientifico che percorsero il XIX secolo.


In Inghilterra il medico Robert Knox (1791-1862), professore di "anatomia trascendentale" ad Edinburgo, poligenista convinto sostenitore della fissità e dell'autonomia delle razze, si provava a dimostrare che la progenie mulatta diventava sterile nel giro di poche generazioni. Il suo connazionale James Cowles Prichard, nel suo "Researches into the Phisycal History of Man" (1813) affermava che il progenitore Adamo fu un negro e l' uomo diventò gradualmente bianco grazie alle conquiste della civilizzazione. La provvidenza aveva inculcato nella natura umana originaria un'idea di bellezza fisica per cui negli accoppiamenti sono preferiti i tipi più chiari, un meccanismo questo che anticipa in un qualche modo il principo della selezione sessuale di Darwin.


Intorno a Prichard si formò l' Anthropological Society, alla quale si opposero i seguaci di Knox, poligenisti e contrari a ogni tipo di concessione alla perfettibilità umana, i quali fondarono, nel 1862, l' Anthropological Review. La ricomposizione dei due schieramenti avvenne più tardi sotto l'egida della sintesi evoluzionista compiuta da Spencer e Darwin, con la creazione della Royal Anthropological Society of Great Britain and Ireland nel 1871:


"Con la fondazione della Royal Anthropological Society, la posizione razzista di fatto mantenne il predominio. Gli antropologi moderni, abituati come sono a vedere la loro immagine nello specchio del relativismo del ventesimo secolo, dimenticano molto spesso che l'organizzazione dell'antropologia come disciplina professionale coincise con l'affermazione dello studio delle razze ed era intimamente legata ad esso" (cit :137).


In Germania Gustav Klemm (1843) divide le razze in attive o "maschili" e passive o "femminili". Alla metà attiva appartengono gli europei, le cui caratteristiche psichiche sono la forte volontà, l'amore e il desiderio di supremazia. La forza motrice dell'esistenza umana è l'unione delle razze attive e passive che rappresenterà l'umanità nella sua interezza e il cui scopo è la civiltà.
Carl Gustav Carus (1849) afferma che la teoria di Klemm era di tipo culturale. Carus crede che le condizioni naturali del pianeta debbano riflettersi in tutte le forme viventi. Ci devono essere quindi tante razze quante sono le fasi del giorno. Così esistono quattro razze principali: una diurna, una notturna, una dell'alba e una del tramonto, rappresentate rispettivamente dagli europei, dagli asiatici occidentali, dai negri,daii mongoli e dagli indiani d'america.
In Francia il conte Arthur de Gobineau, nel suo "Essai sur l'inegalité des races humaines" (1856), proclamava che "La razza è tutto" e come il peccato originale condanna gli uomini al loro destino senza possibilità d'appello alcuno. Ecco una delle affermazioni più note dell'ameno trattato :


" Questa è la lezione della storia. Essa mostra che tutte le civilizzazioni derivano dalla razza bianca, che nessuno può esistere senza il suo aiuto, e che una società è grande e brillante soltanto fino a quando essa preserva il sangue del gruppo nobile che l'ha creata, posto che questo stesso gruppo appartenga al ramo più illustre della nostra specie" (cit. in Banton 1987:48).


Gobineau si discosta dai suoi contemporanei in quanto, pur prendendo in considerazione i risultati di Morton e le affermazioni di Klemm, il suo atteggiamento è quello del reazionario nemico di tutta l'eredità illuminista, piuttosto che quello dello scienziato, un vagheggiatore dell'antica nobiltà perduta, che arriva ad affermare l'assoluta superiorità della Grecia e della Roma classiche sulla corrotta e disgregata Europa moderna:
"Le idee di Gobineau, erano desinate a sopravvivere fin nel ventesimo secolo e ricevettero la loro espressione culminante nei tentativi nazisti di genocidio.. In un certo senso De Gobineau precedeva di molto i suoi tempi: solo quando l'Europa tornò a stancarsi della ragione e del progresso le sue idee vennero adeguatamente apprezzate"(Harris 1971:141-143).


Vincenzo Bitti

 

Riferimenti bibliografici

Banton M, Racial Theories, , Cambridge,1987.

Banton M. The Idea of Race, Tavistock, 1977.

Boas F. , L'Uomo Primitivo, Laterza 1979,(ed. orig. 1911)

Cavalli sforza, L., Geni, popoli e lingue

Cavalli Sforza, L. e F., Chi siamo, Mondadori, 1995

Fabietti U. , Storia dell'Antropologia, Zanichelli,1991

Harris M. , L'evoluzione del pensiero antropologico, 1971, Il Mulino, Bologna

Gosset, T. F. , Race:The History of an Idea in America, Dallas , Shoutern Methodist University of Chicago Press, 1963.

Jounge, G,, Gli scienziati razzisti in Internazionale, 6 dicembre 1996, 4, N. 159

Mosse L. G. Le origini culturali del terzo reich, Il Saggiatore 1994 ;131-156

Stocking G.W., 1968, Race, Culture and Evolution: Essays in the history of evolution. New York . Free Press. Tr. it. Razza Cultura e evoluzione, iL Saggiatore 1985



 

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