Introduzione
Immigrazione
è sinonimo di spostamento, di mobilità; traiettorie che producono
incontri e scontri di idee, di culture, di visioni del mondo.
Nella prospettiva professionale dell'antropologo si tratta
di un inconsueto avvicinamento di chi, per usare un'abusata
espressione di Clifford Geertz, "era là", ed ora
"è qui", per una sorta di fusione confusa tra "noi"
e "loro", tra il "qui" e "l'altrove".
Limmigrazione è un venir meno di confini fino a ieri
invalicati, un'impraticabilità nell'uso di categorie consuete,
un disorientamento e una trasformazione che si è tradotta
nella creazione di nuovi campi e sottocampi disciplinari,
etichettati, in maniera ancora piuttosto indeterminata, come
antropologia urbana, antropologia delle società
complesse o semplicemente antropologia del noi.
Nuovi percorsi della ricerca contemporanea che hanno condotto
la disciplina ad analizzare la sua storia, le proprie pratiche
conoscitive, i suoi metodi, oltre che a gestire nuovi e alquanto
sfuggenti oggetti di ricerca.
In
questa prospettiva Il fenomeno dellimmigrazione testimonia
di uno scenario più ampio, attraversato da spostamenti e nomadismi
di vario tipo. Movimenti che non interessano soltanto certi
uomini e certe donne partiti da alcuni paesi alla ricerca
di migliori condizioni di vita, ma caratteristiche che connotano
la contemporaneità nel suo insieme, un mondo in cui, ci piaccia
o no, siamo tutti coinvolti.
James
Clifford, in una veloce sintesi della situazione contemporanea,
pone l'immigrazione accanto ad una serie di altri fenomeni
anchessi segnati da dinamiche di dislocazione e da ritmi
di veloci spostamenti:
"Questo
secolo ha visto una straordinaria espressione della mobilità,
se si considerano il turismo, il lavoro migratorio,
l'immigrazione, la proliferazione urbana. Sempre più
numerosi sono coloro la cui "stanzialità" riposa
sull'ausilio di mezzi di trasporto di massa, automobili, aeroplani.
Popolazioni straniere si sono stabilite nelle città di sei
continenti rimescolandosi spesso, però, in modi parziali,
specifici. L' "esotico" è sorprendentemente vicino.
Per converso, non sembrano esserci sul pianeta luoghi tanto
distanti in cui non sia dato avvertire la presenza dei prodotti,
dei mezzi di comunicazione di massa e del potere "moderni".
La vecchia topografia ed esperienza di viaggio sono esplose.
Non è più possibile lasciare il proprio tetto fiduciosi di
trovare qualcosa di radicalmente nuovo, un tempo e uno spazio
altri. La differenza la si incontra nella più contigua prossimità,
il familiare affiora agli estremi della terra» (Clifford 1993,
: 26- 27: corsivo mio).
Occorre
chiarirlo da subito: cercare di inserire in una cornice globale
di questo genere il tema dell'immigrazione, non significa
volersi sottrarre alle molteplici responsabilità civili, amministrative,
direttive, che noi cittadini del mondo ricco dobbiamo assumerci
nei confronti della presenza straniera, né voler chiudere
gli occhi sulle situazioni drammatiche che il fenomeno immigrazione
spesso comporta. Nella diversità della posizione che ci è
toccata in sorte, tutto ciò significa cercare di ricollocare
tale presenza in un contesto comune. In questo contesto le
differenze sfumano sullo sfondo dei processi di vita di tutti
noi.
Per
l'antropologia significa riflettere sulle modalità di produzione
della cultura, sui processi di formazione dell'identità, su
cosa significhi complessità sociale, su questioni, insomma,
che vanno al cuore della disciplina. Alla base di queste considerazioni
c'è la consapevolezza di quanto siano mutate le condizioni
e lesperienza della ricerca. Come avverte Fabio
Dei:
"
Non sembra più possibile descrivere oggi i rapporti tra culture
in termini di autonomia, pluralità e relatività: la situazione
dominante è piuttosto quella della giustapposizione e del
sincretismo. E' difficile pensare ancora all'umanità come
suddivisa in molteplici isole culturali, distinte come le
specie naturali, tendenzialmente autosufficienti - [...] Ci
troviamo al contrario, per dirla con G. Vattimo (1989), in
una situazione di "comunicazione generalizzata":
il mondo contemporaneo vede un enorme aumento della mobilità,
un rimescolamento demografico, una circolazione dei prodotti
e delle conoscenze senza precedenti. La globalità dei processi
economici e politici crea reti di interconnessioni che penetrano
fin dentro i contesti locali più periferici. Ciò contribuisce
a rendere i confini culturali sempre più confusi e mutevoli;
la sistematica ibridazione, l'aggregazione di tratti eterogenei
in nuove e instabili configurazioni, è adesso la regola, non
più soltanto la patologica distorsione di una presunta originaria
purezza delle matrici culturali" (Dei 1993: 68).
La
mobilità, sia quella reale degli uomini e delle donne, sia
quella virtuale delle idee e delle immagini, mette in crisi
concetti forti e unitari che fino a tempi recenti hanno indirizzato
la ricerca.
Etnia,
cultura, società, identità assumono nuovi
profili, nuove sfumature sotto il fuoco incrociato della mobilità
generalizzata e della ristrutturazione globale dell'economia
e della cultura. Le categorie di lettura sono deboli per capire
le nuove storie di vita. Per dirla con Pietro Clemente: "In
questi lavori si evidenzia il rilievo dato alle "rappresentazioni"
degli individui e la loro irriducibilità agli scenari analitici
consueti" segni "di un paesaggio intellettuale di
transizione, che mette alla prova la biodegradabilità di tutte
le categorie che ci portiamo in eredità nelle analisi che
facciamo, in unorgia antiriduzionista." (Clemente,
1993: 15-16).
Un
esempio britannico
Un
esempio significativo delle problematiche che entrano in gioco
nell'analisi di contesti sociali attraversati da esperienze
di immigrazione è il recente lavoro condotto dalla ricercatrice
britannica Marie Gillespie: Television, Ethnicity
and Cultural Change (1995). Il focus dell'indagine
riguarda il ruolo dei media nella formazione dell'identità
di un gruppo di giovani adolescenti di origine Punjabi del
quartiere londinese di Southall. Il Punjabi è una regione
della penisola indiana a prevalenza etnica Sikh, percorsa
negli ultimi anni da violenti movimenti nazionalistici. Dopo
l'assassinio del primo ministro indiano Indira Gandhi nel
1984, il movimento indipendentista sikh a favore della creazione
di un "Khalistan" (la mitica patria dei Sikh), è
scivolato gradualmente verso il terrorismo e il caos. La comunità
Sikh di Southall è la più grande comunità asiatica in Europa.
In questa comunità la ricercatrice ha, fra l'altro, insegnato
per più di dieci anni come docente di scuola secondaria.
La
ricerca, condotta tra il 1989 e il 1990, oltre che a basarsi
su di un questionario distribuito a un campione di 333 adolescenti
tra i dodici e i diciotto anni, è stata condotta impiegando
una metodologia d'indagine strettamente etnografica, una sorta
di osservazione densa e continuata, fra partecipazione e interviste
in profondità. La Gillespie dichiara subito nel suo testo
un certo disagio a trattare i contesti urbani come Southall
con la strumentazione abituale delle scienze sociali.
Quella
studiata è cultura giovanile, scolastica, nazionale; ma è
anche il prodotto della disordinata congerie di messaggi e
di modelli diffusi dalle moderne tecnologie della comunicazione:
i media.
Un
analogo invito agli antropologi ad occuparsi di media
è stato espresso dall' antropologo svedese Ulf Hannerz
(1992), quasi un pioniere nel delineare i contorni teorici
e metodologici di un'antropologia delle società complesse
(cfr. Hannerz 1990):
"Sarebbe
impossibile per gli antropologi far finta che i media non
esistono. Poiché una gran parte del flusso di significato
nella società passa attraverso i media, lasciarli fuori da
ciò che si pretende essere uno studio generale della cultura,
sarebbe unostinata dimenticanza o un impensabile attaccamento
alle routines etnografiche del passato," (Hannerz 1992:
26).
I
media sono considerati da Hannerz strumenti chiave di diffusione
e produzione culturale (machinaries of meaning): radio
e televisione, ma anche la vasta gamma dei cosiddetti personal
media non sono meno importanti. Apparecchi stereofonici,
videoregistratori, telefoni e fax, hanno oggi, come vedremo,
un ruolo non trascurabile nella trasmissione e riproduzione
a distanza della cultura, anche "a distanza":
macchine disseminatrici di significati che l'antropologia
non considera ancora in maniera adeguata nel quadro delle
sue indagini.
La
Gillespie ci offre un etnografia attenta al flusso di messaggi
proveniente dai media e all'interazione di tale flusso con
il contesto socio-culturale più contiguo ai protagonisti della
sua ricerca: gli adolescenti di Southall.
La
disponibilità simultanea e l'interazione di queste diverse
sorgenti di significati produce un ambiente complesso, la
cui gestione si rivela non certo priva di difficoltà, sia
per l'attore sociale, che per il ricercatore interessato ad
indagarlo.
Per
quanto riguarda i soggetti della ricerca, la scelta del periodo
adolescenziale, si rivela appropriata per la finalità dellindagine,
focalizzata sui processi di formazione dell'identità e del
cambiamento culturale. In una fase di passaggio particolarmente
delicata, i ragazzi sono particolarmente sensibili alle influenze
esterne al gruppo familiare, e disponibili a fondere le tante
sollecitazioni in nuove e originali configurazioni. Non a
caso le diverse culture e sottoculture giovanili, apparse
sulla scena della cultura di massa dal secondo dopoguerra
in poi, hanno presentato spesso forti caratteri di sincretismo
e contaminazione tra elementi con origini culturali diverse,
producendo soluzioni originali in diversi ambiti d'espressione:
negli stili musicali, nella moda e anche nel linguaggio (Cfr.
Hebdige, 1983, 1988).
La
prospettiva generale da cui prende le mosse l'indagine della
Gillespie è quella di considerare la cultura e le identità
che le esprimono, non come oggetti statici da descrivere una
volta per tutte, ma come processi in continuo divenire, in
cui gli attori sociali giocano un ruolo attivo di interpretazione
e reinterpratazione continua dei flussi informativi in cui
sono immersi e che in un qualche modo contribuiscono a trasformare
(cfr. Wolf. E.,1982:387).
Sarà
interessante analizzare qui non tanto i risultati di questa
ricerca, ma mettere in luce alcune delle risorse teorico-concettuali
utilizzate, come tentativo di rinnovamento dei quadri di riferimento
della ricerca antropologica alle prese con la specificità
degli ambienti urbani attraversati dalle dinamiche della mobilità
e dell'immigrazione.
Diaspora
Una
prima, interessante mossa concettuale che informa tutta la
ricerca della Gillespie è di situare lo studio degli adolescenti
di origine Punjabi, non all'interno della comunità locale
del quartiere, o in qualche altro tipo di ghetto urbano, ma
nell'ambito "transnazionale" della cosiddetta diaspora
Punjabi.
Diaspora
è un concetto emergente dellantropologia contemporanea
per sottolineare no tanto lo spostamento più o meno forzoso
nello spazio, quanto la consapevolezza, da parte di comunità
e popolazioni immigrate, di possedere (e di volere preservare)
unidentità distinta da quella del luogo di residenza
e legata in qualche modo al luogo di origine (Tedlock ,1996).
La coscienza della diaspora implica il riconoscimento da parte
dell'attore sociale residente in un certo territorio di appartenere
anche ad un luogo di origine lontano e diverso da quello dellattuale
residenza.
L'utilità
di una prospettiva "diasporica", nell'analisi di
contesti di immigrazione, sta nel rendere in grado il ricercatore
di tenere conto dell'eventuale mantenimento di un rapporto,
anche solo immaginario, con quel luogo d'origine, dei legami
che continuano ad avere significato e a influenzare in un
qualche modo la vita nell'attuale luogo di residenza. Il mantenimento
di questo "rapporto a distanza" è, in molti casi,
reso possibile attraverso le molteplici possibilità offerte
dalla vasta gamma delle tecnologie comunicative personali
a cui accennavamo: telefono, videocamera, fax che Hannerz
(1992: 47) distinguendoli dalla unidirezionalità e dallimpersonalità
dei mass media tradizionali (radio e televisione), chiama:
media delle forme di vita. Intendendo qui per "forma
di vita" una modalità di gestione culturale vicina a
quella dell'ideale società tradizionale; un settore di relativa
ma stabile ridondanza culturale che comprende le pratiche
quotidiane di produzione e riproduzione: ambienti di lavoro,
relazioni di vicinato e d'amicizia, che nel caso speciale
degli immigrati continuano in forme diverse malgrado le grandi
distanze che li separano dai loro congiunti rimasti nella
madrepatria o dispersi in qualche altro luogo.
Lindagine
della Gillespie mette in evidenza come tra le famiglie di
origine Punjabi di Southall le relazioni a distanza hanno
rafforzato la coscienza della diaspora, creando una intricata
rete di riferimenti oltre i confini della comunità locale
del quartiere urbano e della nazione di residenza. L'esperienza
di queste relazioni è attivata attraverso due modalità principali
spesso intersecate e sovrapposte tra loro: 1) simbolicamente,
a livello dell'immaginario, per mezzo della fruizione di film,
libri e riviste e altri prodotti culturali provenienti dalla
madrepatria, ma anche soltanto continuando a conservare alcune
particolari abitudini alimentari; 2) concretamente, in forme
dirette e personali, si intrattengono relazioni con amici
e parenti rimasti in India o dispersi in qualche altro luogo,
scambi di notizie attraverso lettere e telefonate, ma anche,
e in maniera crescente, per mezzo di videolettere, prodotte
con telecamere leggere per uso domestico; missive animate
attraverso cui vengono condivise, da un capo all'altro del
mondo, immagini di nascite, fidanzamenti, matrimoni e altri
riti di passaggio familiari.
Questa
eterogenea produzione multimediale, osserva la Gillespie,
in parte "fatta in casa" , in parte confezionata
da una sorta di nuova industria dell'immaginario etnico, viene
utilizzata per una vasta gamma di funzioni sociali che vanno
dal familiare al politico. Le relazioni a distanza permettono
ad alcune famiglie Punjabi residenti a Londra di mantenere
contatti con i loro congiunti rimasti in India ; lontani
parenti residenti in California possono familiarizzare con
le modalità di vita dei loro congiunti a Southall e viceversa;
ne risulta uninteressante forma di video-turismo e di
scambio culturale a distanza. Video, libri e film, oltre che
nella sfera privata e familiare, vengono utilizzati anche
per fini politici e religiosi. Per quanto riguarda la "diaspora
Punjabi", attraverso questo tipo di media si va
diffondendo la propaganda del movimento Khalistan (la terra
dei puri): la campagna per la creazione di una nazione Sikh
indipendente nel Punjabi; ma anche videocassette sulla vita
dei santi sikh circolano attraverso il globo, per essere utilizzate
nell'istruzione e nel culto religioso (Gillespie 1995: 7).
Il
concetto di diaspora è stato utilizzato da diversi autori
per rendere conto della natura di formazioni culturali in
cui l'esperienza della mobilità assume un ruolo centrale rispetto
all'appartenenza e alla stabilizzazione in un luogo definito.
L'aggettivo "diasporico" è stato utilizzato originariamente
dal sociologo britannico Paul Gilroy in There ain't no
Black in the Union Jack (1987) e ripreso recentemente
dallo stesso autore in The Black Atlantic: Modernity and
Double Consciousness (1993), il primo un attenta analisi
del razzismo in Gran Bretagna, il secondo un'ampia indagine
sulla natura della cultura dei blacks in Gran Bretagna.
Gilroy
in The Black Atlantic usa il termine "diaspora"
come parola chiave per comprendere la formazione della cultura
dei black, termine questultimo che in Gran Bretagna
raggruppa gruppi di origine diversa: asiatici e afro-caraibici,
accomunati da una storia comune di movimenti, esclusioni e
razzismi. Gilroy individua lo spazio di costruzione dellidentità
black al di là dei confini del territorio di origine
e di residenza, individuandolo nellarea atlantica nella
sua totale estensione : uno spazio percorso dalle diaspore
e dagli incontri di africani, americani ed europei che hanno
interagito e continuano ad intereagire tra loro.
Nella
costruzione dell'identità black la collocazione sociale
assegnata loro dalla cultura dominante, la ricezione dei riferimenti
europei e i tratti derivanti dalle rispettive origini, e il
mantenimento di un qualche legame con quell'origine, hanno
interagito in modalità diversificate dando vita a forme culturali
originali e imprevedibili. Capire la cultura black
non significa dunque andare alla ricerca di una qualche supposta
essenzialità etnica ma andare a rintracciare i diversi percorsi
della diaspora, gli effetti che si sono prodotti e continuano
a prodursi "qui" , ma anche "là":
"Gli
effetti di questi legami e la penetrazione delle forme black
nella cultura dominante stanno a significare che è impossibile
teorizzare sulla cultura black in Gran Bretagna senza
sviluppare una nuova prospettiva sulla cultura britannica
nel suo insieme. Bisogna essere capaci di vedere al di là
delle manifestazioni contemporanee, nelle lotte culturali
che caratterizzarono il periodo imperiale e coloniale. Una
intricata rete di connessioni culturali e politiche legano
i blacks qui ai blacks che sono da qualche altra
parte. Allo stesso tempo, essi sono inseriti nelle relazioni
sociali di questo paese. Entrambe le dimensioni devono essere
esaminate e le contraddizioni e le continuità che esistono
tra questi diversi tipi di legami devono essere portate alla
luce" (Gilroy 1987: 154-6).
La
diaspora consente di seguire, o almeno di pensare, i fili
che si stendono tra il qui e il là, le reazioni e le conseguenze
che questo allontanamento ha prodotto su entrambi i fronti
della diaspora. Gilroy utilizza il concetto in senso estensivo,
comprendendo sia le trasformazioni a cui è soggetta la cultura
d'arrivo, sia quelle che subisce la cultura di partenza.
Anche
Hasting Donnan e Akbar S. Ahmed in una recente raccolta di
saggi Islam, Globalization and Postmodernity (1995) utilizzano
il concetto di diaspora nel senso indicato da Gilroy, per
comprendere gli effetti di trasformazione e le reazioni che
le dinamiche di dislocazione e spostamento hanno prodotto
nella rappresentazione e nellespressione dell'identità
musulmana, sia per coloro che partono che per coloro che rimangono:
"La
diaspora ha condotto alla spesso rimarcata ricerca dell'identità
e dell'autenticità, in particolare per coloro che si trovano
all'estero ma anche, in una certa misura, per quelli che rimangono
a casa e si accorgono che la loro cultura, trasportata in
nuovi contesti, viene definita e praticata in modi nuovi che
spesso disturbano. Le questioni empiriche sollevate dalla
diaspora così si appuntano in primo luogo intorno ai problemi
dell'identità e della vulnerabilità di dover ridefinire il
sé in un mondo che sembra costantemente in movimento. Le identità
"con il trattino", ad esempio, come quelle dei brito-musulmani
o dei musulmani-americani riflettono e oscurano al tempo stesso
la necessaria congiunzione di tracce culturali disparate ricucite
insieme, prendendo a prestito i termini di Fischer and Abedi
(1990: 253), nell'atto di "ricordare" [re-membering
] e "ricrearsi" [re-creating]" (Ahmed
A.S. and H. Donnan,1994:6).
In
sintesi il concetto di diaspora applicato allo studio dei
contesti di immigrazione riesce a rendere conto dei vasti
e complessi scenari che vengono a formarsi per effetto delle
dinamiche della mobilità generalizzata ; spazi dai confini
difficili da definire in cui vengono a formarsi oggi le identità
degli attori sociali immigrati e non. Tale strumento analitico
permette così di gettare lo sguardo oltre i confini dei contesti
locali e nazionali, ponendo la questione dellidentità
e della cultura in una prospettiva globale.
Media
transnazionali e trasformazione dello spazio antropologico
Sul
versante del globale altre categorie di media sembrano
avere un effetto ben diverso rispetto a quelli personali delle
"forme di vita" a cui si riferiva Hannerz. Le produzioni
delle grandi multinazionali dellimmagine diffuse in
tutto il mondo in forme stereotipe e standardizzate, sembrano
condurre verso un'omogeneizzazione degli orizzonti e dei modelli
culturali di riferimento dell'audience.
Come
effetto della doppia azione della pervasività dei prodotti
multimediali transnazionali da un lato, e della mobilità umana
generalizzata dallaltro, Stuart Hall individua la tendenza
che le pratiche di definizione dellidentità vengano
a fondarsi sempre meno sulla concretezza dei luoghi, intesi
come spazi territoriali d'appartenenza e d'interazione faccia
a faccia:
"Più
la vita sociale diventa mediata dal mercato globale degli
stili, dei luoghi e delle immagini, per mezzo dei viaggi internazionali,
e dalle immagini delle reti mediatiche globali e dei sistemi
di comunicazione, più le identità si staccano, si disaggregano
da tempi, luoghi, storie e tradizioni specifiche e appaiono
"fluttuanti" " (Hall, 1992 : 303).
Ne
risulta una pluralizzazione di possibilità di scelta e la
trasformazione stessa delle specificità culturali etniche,
locali, tradizionali, in elementi di consumo. Si intende qui
il termine omogeneità culturale con una sfumatura di significato
leggermente diversa da quella che sembra in prima istanza
suggerire, non solo una serie identica di elementi culturali
uguali e disponibili per tutti, ma l'equivalenza e la facile
intercambiabilità di stili e oggetti con origini culturali
diverse, utilizzati come semplici merci appunto:
"Noi
dobbiamo confrontarci con una gamma di identità diverse, ognuna
delle quali ci attrae, o meglio attrae diverse parti di noi
stessi, tra cui sembra possibile scegliere. E' questa diffusione
del consumismo, sia reale che immaginario, che ha contribuito
a questo effetto da "supermercato culturale". All'interno
del discorso del consumismo globale, le differenze e le distinzioni
culturali che fino a quel momento definivano l'identità
diventano riducibili ad una sorta di lingua franca
o contante globale in cui tutte le tradizioni e le identità
specifiche possono essere tradotte. Questo fenomeno è conosciuto
come "omogeneizzazione culturale" (ibidem).
Thedore
Levitt in The Marketing Imagination (1983) ha affrontato
il tema della globalizzazione degli elementi etnici. La crescita
dei mercati etnici globali, egli suggerisce, è un esempio
della standardizzazione globale dei segmenti culturali:
"Dappertutto
c'è un ristorante cinese, pane arabo, musica country e western,
pizza e jazz. La pervasività globale delle forme etniche rappresenta
la cosmopolitizzazione della specificità. Dunque, la globalizzazione
non significa la fine dei segmenti. Significa piuttosto la
loro espansione su di una scala mondiale" (Levitt 1983:30-1,
cit. in Robins).
La
mobilità su scala globale svuota, o almeno impoverisce, la
località della significatività che mantiene nei contesti tradizionali,
in cui le relazioni personali faccia a faccia prevalgono sui
rapporti a distanza. La possibilità di spostarsi velocemente
in ogni direzione produce, per dirla con Harvey (1993), una
situazione di "compressione spazio temporale" con
profonde implicazioni sui sistemi di rappresentazione e sulla
formazione dell'identità culturale: i processi sociali si
accelerano al punto che il mondo diventa sempre più piccolo,
le distanze fisiche scompaiono, e gli avvenimenti accaduti
in un luogo possono avere conseguenze immediate e determinanti
su altri luoghi e persone molto lontani tra loro.
Anthony
Giddens discutendo dei caratteri della "modernità radicale"
(termine preferito a "postmodernità" per l'aureola
epistemologicamente negativa che quest'ultimo termine ha progressivamente
assunto) nel suo recente Le conseguenze della modernità
(1994), individua nel concetto di "disaggregazione"
(disembedding) una proprietà fondamentale della vita
sociale contemporanea. Disaggregazione sta ad indicare
la possibilità dei rapporti sociali di staccarsi dai contesti
locali e la possibilità di ristrutturarsi su archi di spazio-tempo
indefiniti. I diversi tipi di media, le tecnologie telematiche,
i mezzi di trasporto ad alta velocità consentono sempre più
allo "spazio" di separarsi dal "luogo"
inteso come località fisica e reale, favorendo i rapporti
tra persone "assenti", localmente distanti da ogni
data situazione di interazione faccia a faccia (1994:32).
Si produce per l'attore sociale una sorta di allargamento
dello spazio significativo, una disgiunzione dell'equazione
tradizionale : località = familiarità, che prelude a
nuove forme di socializzazione, incluse quelle a "a distanza":
"Un
aspetto della dislocazione è il nostro essere inseriti in
ambienti culturali e informativi globalizzati; ciò significa
che i nessi tra familiarità e luogo sono molto meno stretti
che in passato. Non è tanto un fenomeno di estraniazione dal
locale, quanto uno di integrazione entro "comunità"
globalizzate" di esperienza condivisa. " (Giddens
1994: 139).
Anche
Marc Augé, sul terreno propriamente antropologico, registra
una trasformazione della dimensione del "campo"
d'indagine delimitato e totalizzante delletnografia,
in cui attraverso specifiche "pratiche spaziali",
per usare un termine di De Certau (1980), hanno preso forma
gli oggetti dellantropologia classica. Nell'epoca contemporanea
della "surmodernità" (un altro termine come quello
di Giddens "modernità radicale", preferito al temuto
"postmoderno" per indicare la contemporaneità) è
la "sovrabbondanza spaziale" a mettere in crisi
le strategie descrittive dell'antropologia:
"L'etnologia
si è per lungo tempo preoccupata di ritagliare nel mondo degli
spazi significanti, delle società identificate con culture
concepite esse stesse come totalità piene: universi di senso
all'interno dei quali gli individui e i gruppi che ne sono
solo unespressione si definiscono in rapporto agli stessi
criteri, agli stessi valori e alle stesse procedure di interpretazione
[...] Basti dire che questa concezione ideologica riflette
tanto l'ideologia degli etnologi quanto quella di coloro che
essi studiano e che l'esperienza del mondo surmoderno può
aiutare gli etnologi a disfarsene o, più precisamente, a misurarne
la portata. Essa infatti poggia su un organizzazione dello
spazio che lo spazio della modernità sopraffà e relativizza.
Anche qui ci si deve intendere: come ci è sembrato che l'intellegibilità
del tempo sia più complicata dalla sovrabbondanza di avvenimenti
del presente che non minata da una sovversione radicale dei
modi prevalenti dell'interpretazione storica, così la concezione
dello spazio non è tanto sovvertita dai capovolgimenti in
corso (giacché esistono ancora ambiti e territori, nella realtà
dei fatti e più ancora in quella delle coscienze e degli immaginari,
individuali e collettivi) quanto complicata dalla sovrabbondanza
spaziale del presente. Questa si esprime, l'abbiamo visto,
in mutamenti di scala, nella moltiplicazione dei riferimenti
immaginifici e immaginari e nelle spettacolari accelerazioni
dei mezzi di trasporto. Essa comporta modificazioni fisiche
considerevoli: concentrazioni urbane, trasferimenti di popolazione
e moltiplicazioni di ciò che definiamo "non-luoghi",
in opposizione alla nozione sociologica di luogo, associata
da Mauss e da tutta una tradizione etnologica a quella della
cultura localizzata nel tempo e nello spazio" (Augé 1993:
35-36).
Il
non-luogo è per Augé uno spazio particolare prodotto dalla
moltiplicazione delle dinamiche di mobilità, zone quindi essenzialmente
di passaggio, in cui l'identità nelle sue forme storiche,
durature e tradizionali non riesce e non può radicarsi, consolidarsi,
aree di solo transito: autostrade, aeroporti, stazioni, autogrill,
centri commerciali. "Sur-modernità", per Augé, significa
soprattutto il proliferare dei non-luoghi, in cui gli attori
sociali devono saper escogitare nuove forme di radicamento.
Anche
George Marcus, in una sorta di vademecum per un 'etnografia
fine secolo (1992), considera la "sovrabbondanza spaziale"
causa di una fondamentale trasformazione delle pratiche di
delimitazione dell'oggetto e dello spazio di ricerca antropologico.
Nelle condizioni della contemporaneità l'identità dellosservato
viene a formarsi in luoghi molteplici che richiedono una strategia
etnografica diversificata, multilocale :
"L'identità
di chiunque, di qualsiasi gruppo è prodotta simultaneamente
in molteplici spazi di attività da molti agenti diversi e
con diversi scopi. Per chiunque, il luogo dove vive, tra i
suoi vicini, amici e parenti o sconosciuti [co-strangers],
è soltanto uno dei contesti sociali e forse neanche il più
importante in cui viene a formarsi la sua identità. Per un
approccio etnografico modernista all'identità ciò che deve
essere colto, è questo processo dell'identità dispersa in
molti luoghi diversi e di qualità differenti " (Marcus
1992: 315).
Anche
James Clifford, in un saggio dal titolo eloquente Travelling
Cultures (1992) sottolinea il medesimo punto. Soltanto
una strategia etnografica multi-locale riuscirà a gestire
in maniera adeguata l'indagine delle "culture della diaspora":
le storie dei movimenti di popolazione, per esilio o migrazione
. Un esempio citato da Clifford di tale strategia è la già
citata e "multicentrica" ricerca di Michael Fisher
e Mehdi Abedi: Debating Muslim (1990). Sottotitolato
"dialoghi culturali tra postmodernità e tradizione",
il lavoro (dis)localizza la cultura islamica iraniana in un
intreccio cosmopolita di relazioni nazionali e transnazionali.
(Clifford, 1992:103).
Identità
tra locale e globale
Che
tipo di formazioni identitarie vengono a formarsi in questa
inedita articolazione tra le diverse dimensioni del locale
e del globale? Hall (1992) delinea tre tendenze generali:
- l'erosione delle
identità nazionali causata dall'omogeneizzazione culturale;
- la resistenza
o il rafforzamento delle identità locali;
3)
l'ibridizzazione come svilupparsi di nuove identità
e "nuove etnicità".
E'
facile comprendere dall'elenco di opzioni fornito da Hall,
che l'impatto della globalizzazione culturale ed economica
ha effetti molteplici e allo stesso tempo contraddittori sui
processi didentità. L'effetto generale della globalizzazione
è quello di rendere l'identità sia dei popoli che dei singoli,
più "posizionale, politica, soggetta ai capricci della
storia, più congiunturale insomma di quanto non lo fosse nei
contesti moderni e premoderni (Hall 1992:309).
Semplificando,
il quadro delle opzioni identitarie sembra ridursi essenzialmente
a due possibilità: "tradizione" (Tradition)
e "traduzione" (Translation), prendendo in
prestito due termini coniati da Homi Bhabha (1990). "Tradizione"
indica il tentativo di alcuni, gruppi e singoli attori sociali,
di restaurare una qualche supposta purezza originaria, cercando
di mettere al riparo dai movimenti del contingente certezze
e valori che sembrano perdersi. Altri accettano il gioco della
storia, i loro incontri con le altre culture, altre esperienze,
accettano lidea che non è possibile tornare indietro,
che non cè un luogo verso cui tornare, che non potranno
mai essere quelli di una volta (Robins, 1992, Said, 1989).
Limmigrazione è un esperienza con un biglietto di sola
andata (Hall,1990). La loro è un opera continua di "Traduzione"
.
Soffermiamoci
sugli esiti e sui modi in cui si esprime la "tradizione"
e in particolare sulla dinamica erosione-resistenza.
L'identità
nazionale è sottoposta ad un processo di erosione per
effetto della compresenza di altre culture e l'esposizione
a flussi culturali transnazionali. E, per altro verso, il
rafforzamento e la resistenza delle identità locali
può essere considerato come una reazione difesa dei gruppi
etnici dominanti che si sentono minacciati dalla presenza
di altre culture. Nel Regno Unito, per esempio, questo timore
ha prodotto una riaffermazione della retorica dell'Englishness
nel periodo tatcheriano dai primi anni 80 in poi.
Questa
reazione di chiusura e difesa dei gruppi dominanti nazionali
si collega spesso a una strategica e spesso inevitabile ritirata
verso un'identità di resistenza delle minoranze, come risposta
al razzismo culturale e all'esclusione. Queste strategie includono
spesso una re-identificazione con le culture di origine e
la costruzione di forti contro-etnicità; è il caso, per rimanere
sempre in Gran Bretagna, del movimento Rastafari, come identificazione
simbolica dei giovani di seconda generazione afrocaraibica
con i simboli e i motivi di origine africana. Tra l'altro
il motivo dominante dei Rastafariani è il ritorno mitico in
Africa dalla diaspora iniziata con il trasporto degli schiavi
in America nel '500.
Ma
anche nel caso delle comunità musulmane si assiste ad un ritorno
al tradizionalismo culturale e all'ortodossia religiosa che
sfocia nel fondamentalismo e all'intolleranza violenta.
Il
"caso Rushdie" sorto intorno al libro i Versi
Satanici è un esempio dei problemi che sorgono nel complessi
rapporti tra gli esponenti della "Tradizione" e
della "Traduzione". Salman Rushdie, scrittore di
origine indiana, cosmopolita e di religione musulmana, immigrato
a Londra, è divenuto il simbolo "negativo" per una
buona parte dei suoi correligionari della corruzione e dello
stravolgimento della "Tradizione" venuta a contatto
con altre culture e altre tradizioni:
"Al
centro del romanzo si trova un gruppo di personaggi, per la
maggior parte musulmani britannici o individui non particolarmente
religiosi di cultura musulmana, immersi proprio nei grandi
problemi sorti intorno al libro, problemi di ibridazione e
di ghettizzazione, di riconciliare l'antico con il nuovo.
Coloro che oggi contestano il romanzo con maggiore vigore
sono dell'idea che mischiarsi con una cultura diversa rovini
la propria. Io sostengo il contrario. I versi satanici
celebra l'ibrido, l'impurità, la commistione, la trasformazione
che deriva da nuove e inattese combinazioni fra esseri umani,
culture, idee, politica, film e canzoni. si esalta nell'imbardastimento
e teme l'assolutismo del puro. Mélange, guazzabuglio,
un po' di questo un po' di quello è il modo in cui il nuovo
entra nel mondo . E' la grande possibilità che l'emigrazione
di massa concede al mondo e io ho cercato di farla mia. I
versi satanici sostiene la trasformazione per fusione,
il cambiamento per congiunzione. E' un canto d'amore rivolto
ai nostri sé imbastarditi" (Rushdie 1994: 431-432).
E'
però importante saper collocare queste prese di posizione
"localistiche" in difesa di una "tradizione"
nel contesto dello scenario globale contemporaneo su delineato.
La moltiplicazione delle risorse identitarie e dei quadri
di riferimento disponibili in un contesto di mobilità generalizzata
connotano il ritorno alla tradizione non come un semplice
ritorno, ma come una scelta tra opzioni disponibili. Sempre
Giddens lega questo ritorno contingente alla tradizione al
carattere "riflessivo" della modernità, alla possibilità
della scelta tra diverse opzioni ; ma una tradizione scelta,
in questo senso, non è già per definizione una tradizione
quando afferma che:
"La
tradizione giustificata è infatti una tradizione mistificata
che trae la propria identità solo dalla riflessività del moderno
[...] .Il fondamentalismo può emergere in ogni ambito della
vita sociale in cui si debba a un certo punto non semplicemente
accettare, adeguarsi alla tradizione, ma, eventualmente sceglierla"
(Giddens 1994 : 46).
Congiunture,
disgiunture e nazionalismi in teleselezione
Un
modello particolarmente elaborato che cerca di rendere conto
delle configurazioni identitarie nella contemporaneità è quello
proposto da Arjun Appadurai (1990), ben presente sullo sfondo
della ricerca della Gillespie. Non privo di una sua suggestione
almeno, come vedremo, nell'originale enunciazione terminologica,
la proposta di Appadurai ha avuto un discreto successo nella
letteratura più recente (Lash e Friedman 1992, Ahmed e Donnan
1994).
Appadurai
individua cinque dimensioni nell'economia culturale globale,
cinque flussi caratterizzati da movimento e instabilità: 1)
ethnoscapes, 2) mediascapes, 3) technoscapes,
4) finanscapes; 5) ideoscapes, rispettivamente
il movimento degli uomini, del denaro delle tecnologie, delle
immagini e delle idee.
Ma
ciò che interessa ad Appadurai non è tanto l'analisi oggettiva,
quantitativa di questi flussi, quanto le modalità in cui gli
attori sociali ne fanno esperienza. Di qui la spiegazione
del suffisso scape, ad indicare che non si tratta appunto
di relazioni oggettive, ma di costrutti prospettici, determinati
dalla posizione storica e politica, degli attori e dei gruppi
sociali considerati: stati-nazioni, comunità diasporiche,
gruppi sub-nazionali e movimenti, ma anche entità sociali
minori come villaggi, vicinati e famiglie.
Appadurai
usa il termine "paesaggio" (landscape) per
indicare il punto di vista particolare che i diversi attori
sociali hanno di queste dimensioni, la loro visuale determinata
dall'insieme delle collocazioni e delle posizioni che si trovano
ad avere rispetto a questi flussi ; la loro visuale viene
a costituire il "mondo immaginato" (imagined
world) in cui sono immersi e a partire dai quali agiscono.
Mondi e non comunità alla Benedict Anderson, per marcare l'estensione
dell'immaginario dell'attore sociale al di là dei confini
della propria patria. Comunità immaginate è infatti la definizione
con cui Benedict Anderson, in un noto libro dal titolo omonimo
(1983, trad. it. 1996), sintetizzava la natura immaginativa
dello stato-nazione moderno.
In
questo prospettiva la parola chiave che guida l'indagine sulle
problematiche dellidentità e della contemporaneità,
per Appadurai, non è tanto quella di globalizzazione ma "indigenizzazione" ;
intendendo con questo termine linstabile localizzazione
di una serie particolare di congiunture e disgiunture tra
le diverse dimensioni del flusso globale economico e culturale,
formazioni e arrangiamenti su cui a priori non è possibile
dir nulla, in mancanza di adeguate e specifiche ricerche di
taglio etnografico. Poiché lidentità e lazione
che viene prodotta è il risultato delle complesse configurazioni
di aspetti oggettivi e soggettivi, di equilibri che vengono
a materializzarsi in pratiche specifiche di azione e costruzione
dell'identità. Soltanto la ricerca etnografica focalizzata
può rendere conto delle particolari configurazioni che vengono
incessantemente costruite e decostruite.
Proprio
l'immigrazione e la mobilità in genere, sia reale che virtuale,
ha giocato un ruolo importante nella configurazione di mondi
immaginati del tutto particolari. La possibilità di separazione
delle identità dai luoghi di origine ha prodotto quello che
Appadurai ha individuato come il paradosso della questione
etnicità oggi :
"Gli
elementi primordiali (sia del linguaggio, del colore della
pelle, di vicinato o di parentela) sono diventati globalizzati.
Vale a dire che i sentimenti, la cui più grande forza sta
nella loro capacità di trasformare l'intimità in un sentimento
politico e fare della località un territorio base per l'identità,
sono diventati dispersi su spazi vasti e irregolari, quando
i gruppi si spostano e restano pur legati l'un l'altro attraverso
le capacità di media sofisticati. Questo non significa negare
che tali primordia sono spesso il prodotto di tradizioni inventate
(Hobsbawn e Ranger, 1983) o affiliazioni retrospettive, ma
sottolineare che a causa dell'azione reciproca instabile e
tra loro disgiunta del commercio, dei media, delle politiche
nazionali e delle fantasie di consumo, l'etnicità, una volta
un genio racchiuso nella bottiglia di un qualche tipo di località
(comunque grande) è ora diventata una forza globale, che scivola
continuamente nelle crepe che si aprono tra gli stati e le
frontiere" (Appadurai, 1990: 306).
I
fenomeni dimmigrazione creano rapporti particolari tra
i pellegrini e la loro madrepatria, che in qualche caso anche
Appadurai collega al sorgere dei diversi fondamentalismi che
agitano la scena politica contemporanea. Si crea un nuovo
mercato dell'immaginario che nasce dal bisogno delle popolazioni
sradicate dal loro territorio di un contatto con la madrepatria :
mediascapes particolari che possono trasformarsi in
violenti ideoscapes : è il caso del già incontrato
movimento Khalistan: l'immaginaria nazione dei Sikh:
"Naturalmente,
queste patrie inventate, che costituiscono i mediascapes
dei gruppi deterritorializzati, possono spesso diventare sufficientemente
fantastici e unilaterali così da fornire materia per nuovi
ideoscapes in cui possono manifestarsi i conflitti
etnici. La creazione del "Khalistan", una patria
inventata della popolazione Sikh deterritorializzata d'Inghilterra,
Canada e Stati Uniti, è un esempio del sanguinoso potenziale
di tali mediascapes, quando interagiscono con il colonialismo
interno (Hecter, 1974) dello stato nazione" (Appadurai,
1990: 302).
Secondo
Appadurai, è lesperienza della deterritorializzazione
subita dagli immigrati la chiave principale che apre la via
alla formazione di questi violenti immaginari etnici:
"In
generale la deterritorializzazione è una delle forze centrali
del mondo moderno, dal momento che colloca le popolazioni
lavorative nei settori della classe bassa delle società relativamente
ricche, al tempo stesso si creano sensi di critica esagerata
e di attaccamento alle politiche della madrepatria. La deterritorializzazione,
sia degli Indu, dei Sikhs, dei Palestinesi o degli Ucraini,
è ora al cuore di una varietà di fondamentalismi globali,
incluso quello Islamico e quello Hindu. Nel caso Hindu per
esempio è chiaro che il movimento oltremare degli Indiani
è stato sfruttato da una varietà di interessi sia all'interno
che all'esterno dell'India per creare una complicata rete
di identificazioni religiose e finanziarie, in cui i problemi
della riproduzione culturale degli Hindu all'estero sono legati
alle politiche del fondamentalismo Hindu in patria » . (cit :
301).
Anche
Anderson in un recente intervento sui nazionalismi contemporanei
parla dell'emergere un nuovo "curioso" tipo di nazionalista,
quello "in teleselezione":
"[...]
negli ultimi 150 anni, le vaste migrazioni prodotte dal mercato,
dalle guerre e dall'oppressione hanno profondamente incrinato
quel che una volta sembrava una coincidenza "naturale"
tra sentimento nazionale e risiedere per tutta la vita nella
terra madre, o terra padre. In questo processo sono state
generate etnicità che seguono i nazionalismi nell'ordine storico,
ma che oggi sono collegate ai nazionalismi in modi complessi
e spesso esplosivi. Ecco perché alcuni dei più duri "nazionalisti
irlandesi" dell'Ira vivono le loro vite di irlandesi
negli Stati Uniti. Lo stesso succede per molti ucraini residenti
a Toronto, tamil a Melbourne, giamaicani a Londra, croati
a Sidney, ebrei a New York, vietnamiti a Los Angeles e turchi
a Berlino. Può ben essere che ci troviamo di fronte a un nuovo
tipo di nazionalista: "il nazionalista in teleselezione
si potrebbe chiamarlo" (Anderson 1996: 216).
Cosmopolitismi
e nuove etnicità
Ma
veniamo alla terza possibilità prospettata da Hall: l'ibridizzazione
e l'affermarsi di nuove identità di tipo translated.
"...
che tagliano e intersecano i confini naturali, composte da
coloro che sono stati dispersi per sempre dalla loro madrepatria.
Queste persone continuano a mantenere forti legami con i loro
luoghi d'origine e con le loro tradizioni, ma non hanno più
l'illusione di ritornare al passato. Sono obbligati a confrontarsi
con le nuove culture in cui abitano, senza semplicemente assimilarsi
ad esse e perdere completamente le loro identità . Portano
su di sé le tracce di culture particolari, tradizioni, linguaggi
dalle quali sono state modellati. La differenza è che loro
non saranno mai più uniti come una volta, perché sono il prodotto
di storie molteplici e culture interlacciate tra loro, appartengono
ad una e allo stesso tempo a molte 'patrie' ( ed a nessuna
in particolare') ". (Hall 1992: 310.
La
traduzione di quanto Hall enuncia sul piano teorico è tutta
nella reale esperienza che esprimono queste parole di Salman
Rushdie, rivolte ai suoi colleghi scrittori, indiani e immigrati
come lui stesso:
"
Vorrei suggerire che gli scrittori indiani in Inghilterra
hanno accesso a una seconda tradizione, del tutto separata
dalla loro storia razziale: la cultura e la filosofia politica
del fenomeno dell'emigrazione, dello sradicamento, della vita
in una minoranza. Abbiamo tutto il diritto di sentirci i discendenti
degli ugonotti, degli irlandesi, degli ebrei; il passato al
quale apparteniamo è inglese, la storia della Gran Bretagna
degli immigrati. Swift, Conrad, Marx sono tanti nostri antenati
letterari quanto Tagore o Ram Mohan Roy.[...] Ma noi siamo
irrinunciabilmente scrittori internazionali in un'epoca nella
quale il romanzo è come non mai una forma internazionale (uno
scrittore come Borges accenna all'influenza di Robert Louis
Stevenson sulla propria opera; Heinrich Boll riconosce l'influsso
della letteratura irlandese; ovunque si vede una fertilizzazione
trasversale); ed è forse una delle libertà più piacevoli per
un emigrato letterario quella di essere in grado di scegliere
i propri avi. Fra i miei - scelti per metà consciamente, per
metà no - si contano Gogol, Cervantes, Kafka, Melville, Machado
de Assis; un albero genealogico poliglotta, nei confronti
del quale mi misuro e al quale sarei lieto di appartenere."
(Rushdie 1991: 25-26).
Tornando
al nostro esempio britannico dal quale eravamo partiti, anche
la Gillespie utilizza per descrivere le pratiche identitarie
messe in atto dagli adolescenti Punjabi-Londoners di
Southall il termine translated, considerandolo un'utile
aggiunta al vocabolario delle scienze sociali, poiché:
"
Crescere in Southall significa imparare a tradurre sia in
senso letterale - quando i giovani traducono le notizie della
televisione britannica per i loro genitori, che metaforicamente,
quando devono acquisire le capacità per negoziare tra i vari
ambienti, tra le varie culture, tra le varie posizioni presenti
all'interno di ognuno di questi contesti. " (Gillespe
1995: 208).
Uno
dei dati più interessanti della survey di Southall
ha rivelato che i notiziari sono il genere televisivo più
discusso tra gli adolescenti e i loro genitori. Una sorta
di ponte tra giovani e vecchi, in cui la capacità dei figli
di discutere e tradurre le notizie per i genitori è legata
allacquisizione di un certo status di rispettabilità,
vissuto dai ragazzi come un segno di crescita.
A
Southall una buona parte del processo di ridefinizione dell'identità
è attuata nella ricezione e nell'appropriazione della TV.
I media nelle loro diverse versioni nazionali, transnazionali
e diasporici offrono la rappresentazione di molte culture,
stili, e opzioni che sono disponibili nelle case di Southall,
fornendo una gamma di scelta per l'identificazione simbolica.
In
alcuni casi questa gamma è avvertita come conflittuale, come
nel caso recente della guerra del golfo, i giovani si trovano
in difficoltà e in dolorosi dilemmi nel prendere una posizione.
Questo è il tipo di contesto in cui la riflessione sulla propria
identità diventa sia un inevitabile conseguenza sia un esercizio
necessario:
«
La Guerra del Golfo e altri eventi locali, nazionali e internazionali,
mediati da canali di informazione multipli e diversi, vengono
a contatto in vari modi con la vita di Southall. I dibattiti
prodotti dalle notizie di tali eventi e le diverse interpretazioni
su di esse [...].spingono gli adolescenti a diventare fortemente
consapevoli della varietà di posizioni che sono obbligati,
invitati o capaci di prendere, nei diversi contesti :
come membri di comunità diasporiche internamente diverse e
come cittadini britannici. Hanno costantemente il bisogno
di domandarsi Chi sono io ?, Da quale
posizione parlo ? e Chi sta parlando per
me ? così come Chi mi sta parlando ?.
e loro rispondono a queste domande in maniera differente,
spesso ambivalente a seconda delle circostanze in cui tali
domande vengono espresse» (Gillespie, 1995 :141)
La
ricerca empirica della Gillespie, conclude che il consumo
dei media da parte dei giovani adolescenti sviluppa
un attitudine cosmopolita nel senso in cui tale termine è
stato ridefinito da Hannerz ; la grande maggioranza dei
giovani di Southall non aspira a rafforzare l'appartenenza
e i caratteri del proprio gruppo etnico di origine, ma a trascenderla
piuttosto in un modalità che viene definita appunto come "cosmpolita":
"Il
cosmopolita è una creatura dell'organizzazione della diversità
[...] cosmopolitismo comporta una certa posizione metaculturale.
C'è prima di tutto, un desiderio di avere a che fare con l'Altro,
un atteggiamento intellettuale ed estetico di apertura verso
esperienze culturali divergenti. Non ci possono essere cosmopoliti
senza locali, rappresentanti di culture territoriali più circoscritte.
Ma a parte questo orientamento elogiativo, il cosmopolitismo
tende ad essere una questione di competenza, sia di tipo generale
che più specializzato. C'è un'abilità personale a farsi strada
nell'altra cultura, attraverso l'ascolto, il guardare, l'intuire,
e il riflettere, e c'è una competenza nello stretto senso
del termine, una capacità innata nel manovrare in maniera
più o meno esperta particolari sistemi di significato."
(Hannerz :252-253) .
In
questo quadro si è tentato una considerazione diversa del
concetto di etnicità.
La
Gillespie rivendica a questo termine malgrado le contraddizioni
e i paradossi a cui va incontro, una centralità per la comprensione
delle tendenze culturali contemporanee e delle trasformazioni
sociali in atto. Prendendo le mosse da Hall, argomenta che
l'importanza dell'etnicità sta nel suo attestare che la soggettività
e l'identità di ognuno proviene da una storia particolare,
da un linguaggio e da una cultura, nel fatto che ogni discorso
che viene enunciato lo è da una posizione particolare, e che
tutta la conoscenza è quindi contestuale (Hall:1990).
L'etnicità,
intesa come origine, è dunque centrale a tutte le forme di
identità, ma non costituisce un'identità totale, esclusiva.
Molti altri livelli di differenza sono ugualmente importanti:
sessuali, di classe, età, cultura, certamente anche le differenze
etniche e 'razziali', ma queste ultime non sono esclusive,
né sussumono necessariamente le altre. Questo riconoscimento
rende insensate tutte le forme di essenzialismo e determinismo
etnico razziale.
Un
esempio significativo di questo discorso è proprio l'esperienza
della cultura black emersa in Gran Bretagna tra la
fine degli anni 60 negli anni '70. Riflettendo su alcune
produzioni cinematografiche provenienti dall'ambiente culturale
black Hall ha proposto una concettualizzazione delle
nuove etnicità (Hall : 1992). Lesempio proposto
da Hall è il film My beautiful laundrette, tratto dalla
sceneggiatura dello scrittore brito-pakistano Hanif Kureishi,
in cui viene descritta la storia tra due giovani omosessuali
un black pakistano e un bianco inglese, in cui è possibile
leggere lavvio, a parere di Hall, di un nuovo percorso
nelle politiche di rappresentazione delle minoranze etniche,
mettendo in crisi l'essenzialità black in considerazione
di nuovi e più complessi livelli di differenza ; nel
caso di Kureishi quello dellidentità sessuale.
Blacks,
come abbiamo visto, fornisce un punto di identificazione per
diverse minoranze, presenti sul suolo inglese: afro-caraibici
e asiatici in primo luogo ma anche africani. Ciò che queste
comunità hanno in comune e che viene rappresentato attraverso
il termine black, non è dunque la loro uguaglianza
culturale, etnica, linguistica o fisica, ma la loro posizione
allinterno della società ad essere simile è la loro
esclusione, il trattamento che viene loro riservato dalla
cultura dominante.
La
nozione di black è stata estremamente importante nelle
lotte anti-razziste degli anni 70. lidea che persone
appartenenti a società e culture diverse, arrivate in Gran
Bretagna tra gli anni Cinquanta e Sessanta come parte di quellenorme
ondata di migrazione proveniente dai Caraibi, dallAfrica,
dallIndia, dal Pakistan, dal Bangladesh, si identificassero
tutti politicamente come Black. (Hall, 1991:55). Comunque,
malgrado gli sforzi fatti per dare all'identità black
un contenuto unificante, essa continua ad esistere come una
vasta gamma di differenze sia etniche, di genere e di classe,
che cominciano a voler essere riconosciute. Black è
così un esempio, non soltanto politico del carattere delle
nuove identità, della loro natura posizionale all'interno
della società, la formazione e il carattere dell'identità
black dimostra il modo in cui identità e differenza
sono inestricabilmente articolate e cucite insieme, in modo
che l'una non nega laltra:
"L'identità
va considerata come un campo di antagonismi, come un gioco
di posizionamento continuo, c'è sempre una politica dell'identità
una politica di posizioni. L'identità va vista come una produzione
che non è mai completa, sempre in processo e sempre costituita
all'interno della rappresentazione mai all'esterno."
(Hall, 1990: 226).
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Pubblicato
in "Persone dall'Africa" a cura di Pietro Clemente
e Alberto M. Sobrero, Cisu, Roma, 1998, pp. 1 -21
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