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Il Net- Criticism di Geert Lovink
Indagare le “limitazioni del software” e le “dinamiche di gruppo”
Tra il 2002 e il 2004 sono stati pubblicati in Italia due volumi del mass mediologo olandese Geert Lovink: Dark Fiber (2002: Sossella Editore, con prefazione di Franco Berardi) e Internet non è il paradiso. Reti sociali e critica della cibercultura (My First Recession, 2003, introduzione di Arturo di Corinto) tradotto di recente nei tipi dell'Apogeo, che riprende e approfondisce gli argomenti del primo. Due contributi particolarmente interessanti e ricchi di spunti per chi è impegnato a delineare una prospettiva di ricerca critica sui new media, poiché il tema chiave attorno a cui ruotano i numerosi ed eterogenei saggi che offrono le due pubblicazioni, è quello di mettere a punto una versione avanzata di “critica della Rete”, concepita né come teorico “sguardo da lontano”, né come creazione di un'ennesima nicchia accademica, ma come invito “politico” all'impegno serio, a prendere parte attivamente e a riflettere sulle complesse dinamiche che si vanno svolgendo all'interno e intorno alla Rete.
Lovink (classe 1959) è uno dei personaggi che in ambito europeo ha dato un contribuito importante alla costruzione di una prospettiva critica sui nuovi media. Tra i fondatori nel 1983 dell'Adilkno Foundation (Foundation for the Advancement of Illegal Knowledge), editore di Mediamatic (http://www.mediamatic.net/) e della mailing-list internazionale Nettime.org (http://www.nettime.org/), animatore e organizzatore del progetto Digital City di Amsterdam , è stato protagonista e organizzatore di innumerevoli eventi riguardanti la cultura critica dei New Media. Geert Lovink è un personaggio difficilmente inquadrabile nei canoni dell'intellettuale classico, passa agevolmente dall' ambiente accademico a quello controculturale, al limite, ma sicuramente non al margine sia dell'uno che dell'altro ambiente, è una figura d'intellettuale dei nuovi media alquanto orginale. Un ritratto dell'intellettule virtuale, che è quasi un autobiografia, Lovink l'ha tracciato in uno dei saggi di Dark Fiber (2002, p. 39 -47).
Uno scenario mutato: Internet come la conoscevamo, Internet com'è ora
Secondo Lovink il presupposto per una matura critica della cibercultura è la consapevolezza di uno scenario profondamente mutato rispetto alla Internet della prima ora. Entrambi i volumi sono stati pubblicati, dopo il 2000, l'anno del dotcom crash, evento che mise la parola fine sulla strombazzata età dell'oro della new economy targata Internet; crollo che è uno degli elementi chiave di questo nuovo quadro. Il tramonto dell'euforia utopistica dei primi tempi, il fatto che Internet sia entrata nella quotidianità di un numero sempre crescente di persone, l'avanzare dei tentativi di privatizzazione e blindatura della Rete da parte di Stati e corporations in nome della sicurezza, sono elementi altrettanto importanti che dipingono un paesaggio profondamente diverso rispetto alla Rete come la conoscevamo da pionieri negli anni 80. Da strumento straordinario, quasi esoterico destinato a pochi, Internet è diventato un mezzo pubblico utilizzato da un numero enorme di persone, con tutto ciò che ne consegue:
«Internet non è più una cosa nuova. L'email sta diventando parte della vita quotidiana, come è successo con la televisione, l'aspirapolvere e il frigorifero» (Ivi , p. 21).
La normalizzazione di Internet richiede un salto di qualità dell'approccio critico al mezzo che implica l'abbandono definitivo della “retorica del nuovo” :
«E' venuto il momento di liberare Internet dalla storia della sua progettazione. Una volta che la tecnologia dell'informazione è stata installata e la società cablata, la retorica del nuovo che si ribella all'istituzione non funziona più e il clima generale cambia. Questo studio guarda in particolare al momento di transizione in cui “l'economia del nuovo” sta svanendo, i suoi lasciti culturali vengono assorbiti nel quotidiano, e tutte le caratteristiche “fin-troppo-umane “ affiorano sulla superficie dell'interfaccia. » (Lovink, 2004, p. 6).
Una situazione nuova che pone interrogativi diversi sintetizzabili in poche e fondamentali domande : «Che succede quando la festa è finita e ti scontri con le limitazioni del software più in uso e le dinamiche di gruppo? Quando il ciber-spettacolo si dissolve e il quotidiano, con la sua politica sporca, prende il sopravvento?» (Ivi, p. 33).
L'invito di Lovink è quello a una critica della Rete fortemente pragmatica e realista, concentrata sulle modalità concrete attraverso cui la comunicazione in Rete prende forma. Le “dinamiche di gruppo” e le “limitazioni del software” sono gli argomenti cardine attorno a cui ruotano i contributi di Lovink. C'è bisogno di una critica che scenda fino al livello minuto di precise questioni tecniche: architetture software, disponibilità di banda, dilemmi sulla moderazione delle mailing-list.. Questioni tecniche che, a ben guardare, inglobano scelte politiche che alla fine decidono del chi, del come e del quando si avrà accesso alla Rete e a quale Rete:
«L'invito a fondare una Critica della Rete non è una via di fuga luddista, una ricerca di una posizione essenzialista o “aliena” da outsider E' un invito all'impegno e alla responsabilità figlio della preoccupazione profonda che la Rete, bit dopo bit, venga chiusa, blindata dai filtri antispam, dagli avvocati difensori del copyright, dai burocrati e da un'accozzaglia di misure di sicurezza. C'è una manovra congiunta che si va dispiegando di governi e corporation che affermano di voler creare un ambiente informativo “sicuro” e “protetto” e libero dal dissenso o da fattori di rischio per la libera circolazione dei capitali. Con l'applicazione di determinate misure tecniche e legislative, ogni bit può essere etichettato come “dissenso” I pragmatisti radicali come me credono che il quadro non sia così cupo, che ci sia ancora spazio per l'intervento e la liberà di iniziativa fuori programma. Questa fiducia si basa sull'ardire di una minoranza attiva di utenti della Rete che vogliono agire - preparati e forti di esperienze sufficienti a fare lobby e a costruire alleanze sociali che scompaginano o aggirano all'infinito i sistemi chiusi basati sul profitto ricavato tramite il controllo e la scarsità, mentre rafforzano gli standard aperti e innovativi, accessibili e modificabili da chiunque nello spazio pubblico.» (Ivi , p. 12).
In questo nuovo scenario gli ideali tecno-libertari, le ipotesi di democrazia verticale delle vecchie comunità on line, si infrangono sulla realtà di un ciberspazio non più e non solo come “isola felice” ma arena di conflitti globali su larga scala:
«La cultura dell'information technology basata sul consenso, con il suo positivismo New Age degli hippy-imprenditori, ha dominato i circoli della Rete per un lungo periodo. Ciò è dovuto, in parte, a un fattore di scala. Fino agli inizi degli anni Novanta, la comunità mondiale di Internet era piccola e relativamente omogenea. Con mezzo miliardo di utenti nel 2003, quel quadro è cambiato radicalmente» (Ivi , p. 24).
Ma nonostante questa drastica mutazione del contesto, la critica della Rete, a cui pensa Lovink, non ha nulla a che fare con il pessimismo anti-tecnologico, ne indulge in posizioni sceticche o disfattiste, anzi, al contrario, è un appello all' impegno teorico e pragmatico connaturato nell'uso quotidiano della Rete, un invito a mantenere gli spazi di libertà che Internet ha ancora la potenzialità di esprimere. Internet non è “un progetto finito”, non è ancora un medium monolitico per la trasmissione centralizzata:
«Rimango fortemente ottimista sulle sue potenzialità. L'ascesa recente dei network peer-to-peer, dei weblog e del free software potrebbe essere un segno della rinascita imminente di Internet.» (Ivi, p. 26).
Il tipo di Net Criticism “pragmatico” che Lovink ha in mente si chiarisce nel confronto con il saggio On The Internet (2001) del professore di filosofia a Berkley Hubert L. Dreyfus. Affrontato da Geert nel secondo capitolo di Internet non è il paradiso , Dreyfus lamenta degli effetti nefasti che la comunicazione mediata al computer produrrebbe in termini di “deprivazione ontologica”, dell'inevitabile conseguenza che “la rete non consente agli utenti di esprimere capacità essenziali proprie della corporeità e delle relazioni faccia–a-faccia. Un brontolio già sentito tipico dei cosiddetti “ecologisti dei media” che predicano il ritorno alla realtà .
Secondo Lovink, l'errore di Dreyfus è di confondere: «il ciber-sogno dell'uscita dal corpo , molto diffuso alla metà degli anni '90 con la Rete in quanto tale» (Ivi, p. 41), trascurando gli aspetti politici ed economici della Rete di più urgente importanza per il suo futuro assetto come mezzo di comunicazione globale utilizzato da miliardi di persone.
In modo ironico quanto efficace liquida così le preoccupazioni di Dreyfus:
«Per qualcuno potrebbe essere un sollievo liberatorio sapere che la vita è più interessante di Internet, ma un truismo di questo tipo difficilmente può gettare le basi di un'indagine filosofica.. La politica del corpo può essere stata significativa a un certo punto, ma non può estendersi a tutta la varietà di questioni sin troppo reali che Internet come medium globale sta affrontando. Internet non ha bisogno di “re-incarnarsi”, come suggerisce Dreyfus. Invece, ha bisogno urgentemente di un'alleanza vasta che sia in grado di progettare un commons digitale e di difendere e ridefinire alcuni valori fondamentali come l'apertura e l'accesso» (Ivi , p.43 - 44).
Secondo Lovink, è invece essenziale per una critica della Rete consapevole ed efficace lo stare dentro ad essa, viverla nei suoi diversi aspetti:
«Un compito importante del progetto di una critica della Rete è quindi stare dentro al network, scrivendo e-mail, testi on line, link e database. E' precisamente questo star dentro che è necessario alla riflessione, in opposizione alla divisione tra tecnologia e società propria della critica tradizionale» (Ivi , p.18).
Anche a Manuel Castells viene rimproverata un eccesso di diplomazia accademica, una posizione di “esterno innocente” che aleggia sulla sua opera:
«...secondo me gli analisti si devono sporcare le mani se vogliono decostruire e comprendere le agende delle diverse culture e fazioni in lotta nell'insieme dela Rete. Se Internet è un campo di battaglia, ciò di cui abbiamo bisogno sono i reportage di guerra. Il suo obiettivo di “migliorare la nostra società e stabilizzare la nostra economia” verrebbe perseguito meglio se (Castells) ponesse le domande scomode ai tecnologi, ai direttori d'azienda e alle reti comunitarie» (Ivi, p. 53).
Coerente con questo presupposto di attenzione al medium stesso, una caratteristica interessante da sottolineare , è nel modo in cui Lovink elabora le sue produzioni cartacee. I saggi sono costruiti da una tessitura di citazioni di materiali provenienti dalla Rete, soprattutto le mailing list, ma anche le e-mail personali e e naturalmente i blog. Ogni capitolo è infatti corredato da numerosissime note a piè di pagina che rimandano ai diversi luoghi della Rete da cui i passi hanno preso origine e dove, nella maggior parte dei casi, possiamo andare a ritrovarli e controllare di persona. Molto spesso anche gli stessi contributi che formano i suoi libri , sono stati già pubblicati e discussi in varie zone della Rete, soprattutto sulla mailing list Nettime. Quasi un modello nell'utilizzare e citare i materiali “grigi” provenienti dalla Rete, una scelta comunque, che oltre alla forma, ha un significato di fondo importante:
«Le idee e le esperienze raccolte in questa sede non derivano direttamente dai dibattiti contemporanei sulla filosofia della tecnologia. La critica della Rete non ha bisogno del sostegno e della protezione delle teorie generali, o di grandi pensatori. Perché sia percorribile, le sue pratiche tecno-discorsive dovranno reggersi in piedi da sole e affrontare la battaglia contro le nuove chiusure e le architetture alternative. I critici della Rete non sono eunuchi del ciberspazio e ancor meno antropologi che studiano tribù esotiche. La teoria, per come è presentata qui, è un entità vivente, un'insieme di proposte, di asserzioni preliminari e di conoscenze applicate raccolte in un epoca di grandi accelerazioni socio-tecnologiche. Il discorso non viene assemblato principalmente a partire dai libri, ma prende forma da una nebulosa di corrispondenze via e-mail private e incontri, messaggi sulle mailing-list, post sui weblog e informazioni recuperate da database. Non è ancora il momento per una teoria generale dei Network» (Ivi, p. 13).
La cultura delle mailing - list
I due volumi di Lovink, come accennato, si presentano con una loro particolare densità per i diversi argomenti affrontati. Si spazia dall'analisi più propriamente teorica all'etnografia “molto partecipata” di alcune mailing list. In realtà di teoria in senso propriamente accademico non si discute moltissimo, vengono privilegiati soprattutto le analisi approfondite su singoli case studies di vita sociale in Rete di cui l'autore è stato, ed è ancora attivo partecipante in prima persona, trattandosi spesso di progetti ancora attivi:
«L'invito a dar vita a una critica della Rete è innanzitutto una ricerca degli studi di qualità sulle relazioni on-line attuali. Netzcultur ist das was der Fall ist (La cultura di Rete è tutto ciò che accade). La critica della Rete non è né prescrittiva ne descrittiva ma riflessiva...Un medium utilizzato da centinaia di milioni di persone si merita la critica più sofisticata e immaginativa possibile, una critica che si posizioni nel cuore degli sviluppi tecnici, legali e commerciali. Non è sufficiente studiare le implicazioni e i risvolti della tecnologia, come fanno molti studi di scienze sociali.» (Ivi, p. 8)
La cultura delle mailing-list è il campo privilegiato di Lovink, un'attenzione che ha un preciso fondamento teorico e pragmatico:
«Le liste (e i blog) formano le dorsali comunicative di così tanti movimenti di oggi e sottocorrenti culturali/intellettuali ... avverto che è d'importanza strategica per il futuro della “comunicazione mediata al computer” che le dinamiche interne alle comunità delle mailing-list diventino più note E' tempo di porre domande precise, libere dalla nostalgia e dal risentimento Che cosa possiamo imparare dalla sovraeccitazione di metà anni Novanta. Quali modelli sono diventati dominanti nella scena di Internet no-profit? Come hanno distribuito il potere in Rete le comunità degli artisti? » (Ivi , p. 26)
In Dark Fiber viene ricostruita la vicenda della comunità di rete Digital City di Amsterdam e della mailing list Netime. In Internet non è il paradiso vengono analizzate minutamente le vicissitudini di diverse mailing-list e progetti on line. Nel terzo capitolo si parla di Syndacate, una lista aperta e non moderata nata nel 1996 il cui scopo era di mettere in relazione artisti dei nuovi media operanti in Europa Occidentale e dell'Est. Rimasta impigliata nelle polemiche seguite alla guerra del Kossovo, vittima di un “troll” , incapace di affrontare la questione della moderazione viene chiusa definitivamente nel 2001. Al quarto capitolo ci si occupa di X-Change, una lista riguardante i problemi delle radio di rete e i problemi relativi allo streaming e alla disponibilità di banda larga che tali iniziative incontrano. Anche il capitolo 6 si occupa delle questioni relative al software libero attraverso un attenta disamina dei materiali on-line della lista tedesca Oekonux. Di particolare interesse il capitolo “Definizioni di open publishing” che si pone il problema del bilanciamento tra libertà e chiusura negli spazi informativi on-line. Come mantenere aperto e democratico un canale di comunicazione, senza rischiaredi finire nel caos e nel rumore senza senso?
Vengono analizzati i casi di Slashdot (http://slashdot.org/) e di Indymedia (http://www.indymedia.org/), discussi i sofware utilizzati e i loro limiti. Il problema principale da porsi è che :
«Quando la cultura democratica diventa tecnologica , presto o tardi anche le regole democratiche devono essere iscritte nei sistemi tecnici, per esempio nella forma del software. La tecnologia non è una forza aliena che invade le società democratiche. Invece di chiederci in che modo la democrazia rappresentativa possa essere salvata o rinnovata usando la Rete, la prima domanda che dobbiamo porre è quanto sia democratca Internet stessa ( e la sua cultura). Vale a dire, bisogna indagare la dimensione materiale della comunicazione on-line» (Ivi, p. 290)
L'attenzione di Lovink è dunque rivolta alle effettive concrete dinamiche che si vanno svolgendo in Rete e all'interazione reciproca con i software che determinano tali dinamiche e da cui i software stessi sono determinati. Un'analisi concentrata soprattutto sul “software sociale” della Rete, al lavorio quotidiano che avviene su e intorno ad essa, alle trame dei discorsi che si sviluppano e si avviluppano sulle mailing-list, sui blog, ma anche agli eventi off-line e ai rapporti che si organizzano grazie alla Rete stessa. Lovink diffida delle grandi teorie, guarda con diffidenza ai guru dei new media. Soltanto attraverso un'attenzione metodica, pragmatica al medum stesso sarà possibile costruire una critica della cybercultura nella sua modalità avanzata.
Bibliografia
Castells, Manuel, The Internet Galaxy, Oxford University Pres, 2001 (tr. it. Galassia Internet, Milano, Feltrinelli, 2003)
Dreyfus, Hubert L., On the Internet, NewYork/London, Routledge, 2001
Lovink, Geert, Dark Fiber, Roma, Sossella editore, 2001
Internet non è il paradiso. Reti sociali e critica della cibercultura , Milano, Apogeo, 2004
Vincenzo Bitti - 2005
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Pubblicato anche dal periodico on-line Girodivite. Segnali dalle città invisibili
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