I colori
della rete. Note per una politica dell’identità sulla rete. 1998
di Vincenzo Bitti
"Where are you from?"
è questa una delle prime domande che si sente rivolgere chi
entra in una chat. Non si ha idea alcuna dell’interlocutore,
nazionalità, sesso, colore della pelle e forse non ci sarebbe
neanche bisogno di saperlo. Ma la preoccupazione del "chi
si è" tradotta nel "dove si è", resiste anche
nello spazio senza confini di Internet. Residuo di vecchie
abitudini? Attaccamento a coordinate obsolete? Oppure necessità
ineliminabile dell’essere umano. In molte altre zone della
rete la declinazioni delle appartenenze "tradizionali":
sembrano mantenere la loro importanza . Tra le migliaia di
argomenti di discussione che formano l’arcipelago dei newsgroup:
nazionalità, geografia ed etnicità, hanno un loro peso non
indifferente con gli oltre 300 gruppi della gerarchia soc.culture
e i sempre più numerosi domini di primo livello corrispondenti
ciascuno a una diversa lingua nazionale. A dispetto dunque
del luogo comune che vuole Internet come uno spazio in cui
l’identità etnica non conti, o comunque conti poco, sembra
ancora che la terra su cui poggiamo i nostri piedi, pur seduti
davanti a un computer, continui ad avere una sua importanza.
Contro l’idea della rete come
un non-luogo senza colori della pelle, appiattito su un modello
culturale omogeneo e senza distinzioni, si scagliava già nel
lontano 1996, si fa per dire, dalle colonne di Wired l’afro-americano
Kali Tal, Lecturer dell’ University of Arizona, in un articolo
dal titolo eloquente e polemico Life Behind the
Screen (http://www.wired.com/wired/archive/4.10/screen.html).
Parodiando nel titolo, come avrete notato il famoso bestseller
di Sherry Turkle: "The life on the screen (La
vita sullo schermo, Apogeo 1997 ), allora appena
uscito sul mercato americano, metteva in guardia sul fatto
che la cosiddetta libertà della rete nel rendere invisibili
le connotazioni della razza e del genere è un illusione che
nasconde un fenomeno ben più grave e disturbante : the
whitenizing of cyberspace, l’appiattimento della cultura
della rete su un modello unico promosso da un determinato,
benché largo, settore della società americana: bianca, medio
alta e ben istruita, che rischia di escludere tutti gli altri
minoranze etniche comprese.
Il breve articolo di Tal è oltre
modo interessante poiché individua nell’esperienza dell’afro-americano,
con la sua storia ultracentenaria di schiavitù, dislocazione
e frammentazione, un modello che anticipa il concetto di persona
postmoderno, di cui la Turkle parla come di una novità fine
secolo prodotta dalle più recenti tecnologie della comunicazione.
Forse, suggerisce sarcastico Tal, la Turkle avrebbe compreso
prima le "stranezze galliche" di Lacan e Foucault
se avesse guardato all’esperienza dei neri africani e ad autori
come Dubois, senza dover aspettare l’avvento di Internet.
Una risonanza questa, tra esperienza post moderna e afroamericana
che gli autori del cyberpunk hanno avvertito popolando i scenari
dei loro romanzi di elementi sincretici provenienti proprio
da quell’esperienza. Non è un caso allora che Isole nella
rete di Sterling è pieno di personaggi simil rasta,
e i padroni del cyberspazio di Gibson in Giù
nel Cyberspazio siano i Loa, gli dei del Vodu haitiano,
prodotti sincretici di incontri e scontri di culture sospesi
tra Africa, Europa e America . Ma il popolo della rete di
cui parlano la Turkle e anche i techno-cheerleaders di Wired è il white self, il sé bianco midddle-to
upper class, istruito e generalmente maschile:
" the we . unfortunately, of most of the Net.
Ritroviamo ancora un intervento
di Tal riportato in calce come citazione solenne in un’ottima
bibliografia in rete curata da Arthu McGee sull’argomento
Culture, Class and Cyberspace (http://www.igc.org/amcgee/e-race.html)
che consigliamo a chiunque voglia cominciare ad affrontare
il nesso tra rete, etnicità e cultura. Tal focalizza qui il
fraintendimento della cosiddetta libertà della rete, il trucco
direi della retorica del tutto e’ permesso, niente è permesso.
Non si tratta di "liberarsi del corpo", afferma,
ma liberare il corpo. "Quello che ci interessa , è come
le persone, i cui corpi sono spesso minacciati dalle strutture
del potere (minoranze, classi basse, terzo modo, poveri) stanno
usando Internet come una base per rendersi più visibili, per
una concreta politica dell’identità non per la sua scomparsa".
Segnalo, per concludere, un altro
brillante intervento contro l’ideologia omogeneizzante della
rete. In un brillante articolo Elanoire .R. Mason (http://www.virago-net.com/brillo/erasism.htm).
analizza la pubblicità televisiva di una grande compagnia
telefonica, in cui lo speaker con voce suadente afferma: "On
the Internet, there is no race....(pause)...there is no gender....(pause)....there
is no age....(pause)." .Mason parla in questo caso di
eras-ism , il voler creare l’illusoria fantasia sociale
che la rete si una zona libera da differenze "tradizionali"
da –ismi di qualsiasi tipo. L’eliminazione delle differenze
, fa notare la Mason, non è un fatto positivo in sé stesso,
La differenza tra il percepire una categoria sociale come
risorsa di identità o come una limitazione per chi ne è portatore
riguarda la collocazione che questa categoria ha all’interno
della società considerata nel suo complesso . Eliminare (erasing)
una categoria non cancella il problema ad essa associato (
razzismo, maschilismo ec.. ..), non ci si occupa del problema
punto e basta lasciando tutto come dietro lo schermo.
"Se io dovessi riscrivere
quella pubblicità - scrive la Mason - cercherei di creare
una fantasia sociale diversa, lo speaker annuncerebbe: on
the internet there is race...flash image of dozens of different
type of individuals....there is gender....flash images of
dozens of individuals.....there is age...., non voglio
che le categorie siano eliminate ma si possa trasformarle
attraverso l’interazione , la comunicazione e il riconoscimento
reciproco. Questo può succedere non perché io sulla rete sia
un utente anonimo, senza genere, sesso e nazionalità, ma perché
la mia identità si espande attraverso la sua ricreazione sulla
rete . Questa è a fantasia sociale che mi piacerebbe creare
e sarebbe grande.".
Vincenzo Bitti, 1998
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