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L’alba dei network organizzati (2005)
Geert Lovink and Ned Rossiter |
versione in pdf
Titolo. originale : Dawn of the Organized Networks
Il testo originale in lingua inglese è qui: http://journal.fibreculture.org/issue5/lovink_rossiter.html
Traduzione a cura di Pino (Rattus) Nicolosi e Vincenzo Bitti
A un primo sguardo il concetto di "network organizzati" sembra un
ossimoro. In termini tecnici, tutti i network sono organizzati. Ci sono
fondatori, amministratori, moderatori e membri attivi che svolgono dei ruoli.
Si pensi anche ai primi lavori sulla cibernetica e alla cibernetica di
"secondo ordine" di Bateson e altri.
I network sono costituiti da relazioni mobili la cui organizzazione in ciascun
momento specifico viene prodotta dall’ "esterno costitutivo" del
feedback o del rumore [1]. L'ordine dei network è costituito da un continuum di
relazioni governate da interessi, passioni, affetti e dalle necessità
pragmatiche dei diversi attori. La rete delle relazioni non è mai statica, ma
non si deve confondere con qualche tipo di fluidità perpetua. La vacuità non è
una condizione da esaltare per quanti desiderano agire come agenti politici. Perché i network dovrebbero avere organizzazione ? La loro natura caotica e
disorganizzata non è forse una buona cosa che bisogna preservare ? Perché si
dovrebbe disturbare l'atmosfera informale dei network ? Non preoccupatevi. I
network organizzati ancora non esistono. Il concetto presentato qui deve essere
letto come una proposta, l’abbozzo di un processo in divenire che avrà bisogno
una guida attiva attraverso il contraddittorio e l'elaborazione collettiva [2].
Ciò di cui invece non ha bisogno è di una decostruzione immediata Chiunque può
effettuarla. Inutile dire che i network organizzati sono esistiti per secoli.
Basti pensare ai gesuiti. La storia dei network organizzati può essere
ripercorsa, e probabilmente lo sarà, ma questo non serve a molto per quelli che
sono gli obiettivi della nostra indagine. I network di cui stiamo parlando qui
sono specificamente quelli collocati nell'ambito dei media digitali. Sono
caratterizzati dalla loro irrilevanza e invisibilità tanto per gli "old
media" quanto per i p-in-p (persone del potere). La teoria generale dei
network può essere utile per chiarire determinati obiettivi, ma non risponde
alle domande che pongono i new media basati su network sociali. È di qualche
utilità per voi il fatto di sapere che le molecole o i modelli del DNA sono
anche dei network ? Non esistono network al di fuori della società. Come tutte le entità
tecnoumane, essi sono contagiati dal potere. I network sono le macchine ideali
di Foucault. Minacciano il potere almeno quanto lo generano. Il loro diagramma
del potere può operare su una gamma di scale, attraversando reti locali e
incontrandosi con proteste trans-nazionali. Per quanto innocui possano
sembrare, i network fanno esplodere le differenze. Vale a riguardo la massima
di Foucault: il potere produce. Traducete questo concetto sui network
organizzati e otterrete la potenza dell'invenzione. La traduzione è infatti la
condizione dell’invenzione. La mediologia, come l'ha definita Régis Debray
(1996), è la pratica dell'invenzione all'interno dei sistemi tecno-sociali dei
networks. Come un metodo collaborativo di critica immanente, la mediologia
assembla una moltitudine di componenti su una rete di relazioni che si
addensano intorno a problemi specifici e libere passioni. In questo senso, i
network sfuggono costantemente ai tentativi di comando o di controllo. È
questa l'entropia variabile delle reti. Il contrario dei network organizzati non è il caos. I network organizzati
intervengono continuamente nella temporalità radicale della mediasfera di oggi.
Il breve-terminismo è la condizione permanente che viene inflitta dai governi,
dalle corporation e dalla quotidianità. La psicofarmacologia è la forma di
gestione biotecnica di questa condizione (Bifo, 2005). I network organizzati
offrono una diversa possibilità - la possibilità della creatività,
dell'invenzione e di propositi che non sono determinati in prima istanza dagli
scricchiolanti e spesso disorientati tentativi di mantenere il controllo, come
testimoniano una serie di istituzioni che sono emerse all'epoca dello stato
moderno e sono sopravvissute fin a questi giorni all'interno del complesso
dello stato-corporation, che continua a mantenere il monopolio sulla
legittimazione della violenza. Gli utenti dei network non considerano il loro circuito di pari una setta.
Gli utenti non sono membri di un partito. In un certo senso sono l'opposto. I
legami sono lenti, al punto di rompersi.
Quindi l'ontologia dell'utente, per molti versi, rispecchia la logica del
capitale. L' "utente" è l'identità per eccellenza di un capitale che
cerca di tirarsi fuori dai rigidi sistemi di regolazione e controllo.
Via via, quella di utente è divenuta la condizione a cui corrisponde
l'autoconfigurazione dell'auto-invenzione. Qualcuno vorrebbe dire che l’utente
corrisponde al consumatore: silenzioso e soddisfatto fin quando non scoppia il
putiferio. L'utente, in qualche modo è l'identità di controllo attraverso altre
modalità. L'utente sarebbe il contenitore vuoto in attesa del fascino spettrale
delle culture della merce digitali e delle loro promesse di
"mobilità" e di "apertura". Non alimentiamo fantasie: la
socialità è intimamente legata con la dinamica degli apparati tecnici usati
dalla forza del capitale. I network sono ovunque. La sfida che si può prevedere
per il futuro è quella di creare nuove aperture, nuove possibilità, nuove
temporalità e nuovi spazi all'interno dei quali la vita potrebbe affermare la
propria vocazione per un'esistenza etico-estetica. Notworking is Networking "Network organizzati" potrebbe essere letto come una proposta
finalizzata dalla necessità di sostituire il problematico termine
"comunità virtuali" [3]. "Network organizzati" sostituisce
anche il livello del blogging individuale, la cui logica di rete non
corrisponde al concetto che stiamo sviluppando in questa sede. È con qualche
urgenza che le relazioni di potere all'interno dei network entrano nella nostra
agenda. Solo cosi potremmo realizzare un netto distacco dal lavorio delle reti
elettroniche che hanno definito l'era del consenso.
I network organizzati sono "nuvole" di relazioni sociali nelle quali
il disimpegno è spinto al limite. "Comunità" è un concetto
idealistico che evoca legami ed armonia e che spesso, molto semplicemente, non
ci sono. La stessa cosa si può dire riguardo alle le chiamate post 9-11 nel
nome della "fiducia". I network si nutrono di diversità e di conflitto (il NOTworking) non di
unità, e questo è l'argomento che i teorici della comunità non riescono a
focalizzare. Per i difensori della comunità il disaccordo è l'interruzione del
flusso "costruttivo" del dialogo. Occorre invece sforzarsi di
riflettere sul sospetto come principio produttivo.
L'indifferenza tra le reti è una delle principali ragioni che impediscono
l'organizzazione, e questo è un problema da prendere sul serio. Interazione e
coinvolgimento sono costrutti idealistici.
Ciò che i network organizzati fanno è mettere in dubbio la presunta innocenza
del chiacchierare e dello spettegolare in rete. La reti non sono l'opposto
dell'organizzazione esattamente allo stesso modo in cui il reale non è
l'opposto del virtuale. Invece, noi dovremmo analizzare le reti come una forma
sociale e culturale emergente. Le reti sono "precarie", e questa
vulnerabilità può essere vista sia come la loro forza sia come la loro principale
debolezza. Nella società dell'informazione governa la passività. Sfogliare, guardare,
leggere, aspettare, pensare, cancellare, chiacchierare, saltare e farsi
trasportare sono le condizioni di default della vita online. L'immersione
totale implica il più alto livello di follia.
Ciò che caratterizza le reti è un senso di potenza condivisa che non deve
essere realizzata. Milioni di risposte da tutti a tutti potrebbero determinare
l'implosione di qualsiasi network, indipendentemente dalla sua architettura.
All'interno di ogni network ci sono prolungati periodi di passività condivisa
interrotti da esplosioni di interattività. Le reti alimentano e riproducono
delle relazioni slegate - ed è bene guardare questo fatto dritto negli occhi.
Le reti sono macchine edonistiche di contatti promiscui. Le moltitudini della
rete creano forme volontarie e temporanee di collaborazione che trascendono, ma
non necessariamente disarticolano, l'Età del Disimpegno. Il concetto di "network organizzati" è comodo da utilizzare per
fini strategici. Dopo dieci anni di "media tattici" è venuto il tempo
di far crescere gradualmente le questioni in merito alle pratiche dei media
radicali . Tutti quanti dovremmo venir fuori dalla retrofantasia del welfare
state benevolente. Le reti non saranno mai ricompensate e
"incorporate" in strutture ben finanziate. Proprio come le
avanguardie moderniste si vedevano impegnate nel punteggiare i bordi della
società, così i tactical media traggono slancio dall'idea di operare attraverso
micro interventi mirati. Troppo spesso i tactical media tentano di riprodurre
la bizzarra dinamica spazio temporale dello stato moderno e del capitale
industriale e la loro logica intrinseca: differenza e rinnovamento dalla
periferia. Ma qui c'è un paradosso al lavoro. Per quanto le loro azioni possano
essere spesso disarticolanti i tactical media rinforzano la forma del tempo del
capitalismo post-fordista: il "breve terminismo". E' un arretramento quello che vede i tactical media continuare ad operare in
termini di effimero e nella logica delle "tattiche" in piena epoca
post-fordista. Fin quando il modello di attacco rimane quello
"puntuato" i tactical media rimangono affini a ciò a cui cercano di
opporsi. E questo è il motivo per cui i tactical media sono minacciati da una
sorta di benigna tolleranza. C'è una tendenza patologica alla sparizione. Tutto
ciò che poi si solidifica è perso nel sistema.
L'ideale sarebbe essere un po' più che un temporaneo barlume, un breve momento
di rumore o di interferenza. I tactical media si organizzano per essere
sfruttati nella stessa maniera in cui i "modders" lo fanno
nell'industria del gioco: entrambi cedono al sistema la propria conoscenza
delle scappatoie, e lo fanno del tutto gratuitamente. Essi pongono il problema,
e poi fuggono via. Il capitale si delizia e ringrazia le compagnie dei tactical
media o dei nerd-modder per le migliorie apportate alla casa. Il paradigma del neoliberismo si espande attraverso gli apparati biotecnici
della vita sociale. E questa situazione è interna alle operazioni delle culture
dei media radicali, che esse siano o meno disposte ad ammetterlo. Le sirene di
allarme inizieranno a suonare quando i tactical media miglioreranno la qualità
delle loro iniziative. Quando questo accadrà il network organizzato emergerà
come modus operandi. Soltanto allora i progetti dei media radicali
potranno sottrarsi al paternalismo leggermente confuso dello
stato-corporazione. Ma non facciamo errori, l'emergenza dei network organizzati equivale ad una
articolazione della info-war. Questa battaglia al momento ruota intorno al
concetto di "sostenibilità". Non è un caso se la sostenibilità è il
meme del momento, almeno da quando esso offre la leva
strutturale e discorsiva necessaria al governo neoliberista e alle istituzioni
che cercano di cavarsi fuori dalla responsabilità di irritare gli elettori. I
network organizzati sono necessari per inventare modelli di sostenibilità che
vanno oltre l'ultimo aggiornamento della Linea d'Azione (Plan of Action),
che dopo verrà inserita nelle macchine trincia-documenti degli stati membri per
un business "citizen friendly". Il centro vuoto del neoliberismo è la socialità. I network organizzati sono
parte di una più vasta arrampicata per riempire questo vuoto. Gli interessi in
conflitto che circondano il dibattito e le attività intorno al World Summit
on the Information Society sono solo un esempio. A un livello più ordinario
e nazionale, si deve gettare lo sguardo sulla nuova legittimità garantita alla
chiesa come fornitore di "servizi" sociali. La società civile, in
breve, sta sostituendo il piano del sociale. Ma la rivendicazione del sociale è
puntellata da continui eventi antagonisti. Il sorgere del populismo di destra è
un esempio di quanto aperto sia questo centro vuoto fino alla tolleranza nei
confronti del fondamentalismo. Nuove forme istituzionali
I network organizzati sono in competizione con le istituzioni ufficiali in
termini di marchi e di costruzione delle identità, ma è in quanto luoghi di
produzione di conoscenza e di sviluppo di concetti che si definisce in primo
luogo la loro specificità competitiva. In questi giorni, la maggior parte
delle istituzioni "calce e matton"i possono soltanto sottrarre valore dai
network. Queste (le istituzioni calce e mattoni) non sono semplicemente svogliate
ma sono del tutto incapaci di restituire qualcosa indietro. Le reti virtuali
non sono ancora rappresentate nelle trattative sui budget, sulle donazioni,
sugli investimenti o sul lavoro in affitto. Nella migliore delle ipotesi sono
prese in considerazione esclusivamente come risorse di ispirazione tra pari.
Questo è il punto in cui si colloca la reale potenzialità dei network virtuali
- in realtà essi sono motori di miglioramento qualitativo. Quando lavorano
bene, possono ispirare nuovi stili, nuove socialità, nuove tecnologie.
Il network organizzato è una formazione ibrida: in parte media tattico, in
parte formazione istituzionale [4]. Ci sono dei vantaggi che derivano da
entrambe queste derivazioni. La distinzione chiara che caratterizza il network organizzato
è che la sua logica è interna alle dimensioni socio-tecniche del media di
comunicazione. Questo significa che non c’è una formula universale sulle
modalità attraverso le quali un network organizzato potrebbe inventare le
proprie condizioni d’esistenza. Non ci sono “internazionalismi “ per i
network. Quando abbiamo disegnato le condizioni di sfondo del neoliberismo come
parte integrante dell'emergenza dei network organizzati, avremmo dovuto anche
discutere ugualmente sul fatto che i processi di modernizzazione disomogenei
hanno prodotto grandi differenze sociali, diversità di esperienze e di
formazioni nazionali da Est a Ovest, da Nord a Sud, anche il capitale nella sua
fase neoliberale si manifesta in questa pluralità di modi. Le diverse condizioni
sancite dagli accodi sul libero-commercio (WTO) sono solo un esempio delle
forme molteplici del capitale. Dal punto di vista di questa analisi, la
capacità di comprensione del capitale varia al variare della gamma degli inputs
che si vuole considerare come costitutivi dell'azione del capitale.
In modo del tutto simile, non ci sono due network organizzati che si
svilupperanno nello stesso modo, dal momento che le loro condizioni di
emergenza sono sempre interne alla situazione in cui ci si trova al momento. Alla fine i network organizzati potrebbero confrontarsi con
l'organizzazione in rete. Ma non siamo ancora a questo punto. Non ci sarà una
facile sintesi. In maniera approssimativa, si potrà rendere conto di una
"convergenza" tra l'informalità delle reti virtuali e la formalità
delle istituzioni. Questo processo tuttavia sarà tutto tranne che armonioso.
Conflitti tra reti e organizzazioni stanno avvenendo sotto i nostri occhi. Le
dispute sono condizione intrinseca alla creazione di nuove forme istituzionali.
Macerie schizzano in ogni direzione possibile al variare dei luoghi. La
moltitudine connessa, potrebbe dire qualcuno, è costituita - e frantumata -
come parte di questo processo.
In questo senso è necessario un nuovo soggetto politico, qualcosa che venga
fuori dallo stato attuale di disorganizzazione che permea la moltitudine. È un
po' ingenuo pensare che, nella situazione attuale, i network vinceranno la
loro battaglia (se la volete mettere in questi termini). Questa è la ragione
per cui i networks hanno bisogno di una loro propria forma di organizzazione.
In questo processo essi avranno a che fare con i seguenti tre aspetti:
responsabilità, sostenibilità e scalabilità. Partiamo dalla questione di chi rappresentino i network, ammesso che davvero
possiedano questa capacità, e di quali siano le forme di democrazia interna che
prefigurano. I network formali hanno dei membri ma la maggior parte delle
iniziative online non ne hanno. Rendiamocene conto. I network disintegrano le
tradizionali forme di rappresentanza. È questo che rende del tutto irrilevante
la domanda " I blog hanno influenzato le elezioni USA del 2004 ?". La
blogosfera, nella migliore delle ipotesi, influenza una manciata di TV e di
giornali locali. Invece di diffondere la parola la Rete ha messo in questione l'autorità - qualsiasi autorità - e di conseguenza non è semplice
spingere questo o quel candidato su per le classifiche dell'appeal elettorale.
I network che crescono sempre di più sono destinati a fallire perché verranno
incorporati fino a degenerare nel mainstream capitalista. Non importa quel che
pensate di Derrida, i networks non decostruiscono la società. È l'articolazione
profonda che conta, non qualche simbolico coup d'etat.
Se esiste un obiettivo realistico questo potrebbe essere un'egemonia parallela,
che può essere raggiunta solo se le premesse alla base sono poste costantemente
sotto l'esame minuzioso degli iniziatori della prossima ondata di innovazioni
tecnosociale. Il sorgere di " informatiche di comunità " come campo di ricerca e
di costruzione di progetti può essere visto come una piattaforma esemplare che
potrebbe riguardare le questioni affrontate qui [5].
Per l'interesse che le informatiche di comunità hanno nei confronti della
costruzione di progetti "dal basso", un parte cospicua delle ricerche
all'interno di questo campo è orientata verso le questioni della
"e-democracy". È tempo di abbandonare l'illusione che il mito della
democrazia rappresentativa possa essere trasferito e realizzato all'interno di
situazioni “in rete”. Questo non accadrà. Dopo tutto, la gente che otterrà
benefici da tentativi come il World Summit of the Information society è
costituita, nella maggior parte, da quelli che sono interni al discorso e ai
circuiti, non certo dalle persone che si suppone siano rappresentate da questi
processi. Le reti invocano una nuova logica per la politica, certamente non
fondata soltanto su una selezione di ONG che si sono autodefinite "
società civile globale". I network non sono istituzioni di democrazia rappresentativa, a dispetto
della frequenza con cui hanno cercato di modellarsi su queste istituzioni
fallite. Invece, c'è una ricerca orientata verso modelli di decisione ispirati
a una "democrazia non rappresentativa" che evitano i classici modelli
di rappresentanza e le identità politiche correlate.
Il tema emergente di luoghi di democrazia non rappresentativa enfatizza il
processo più che la sua diretta conseguenza, il consenso. Sicuramente c'è
qualcosa di attraente nelle forme di governo orientate al processo. Ma in
ultima analisi il modello processuale è tanto sostenibile più o meno come un
terrapieno scavato in quella melma chiamata anni Settanta. Il processo è
raffinato se integra pluralità di forze nella rete. Ma la domanda principale
rimane: verso dove si dirige ? Quanto durerà ? Perché realizzarlo ? Ma anche:
chi sta parlando ? E perché annoiare ? È allora indispensabile un' attenzione
nei confronti delle forze vitali che costruiscono la vicenda sociotecnica. Qui
è situata l'instabilità e le possibilità segrete dei network organizzati. La
persistenza del disaccordo può essere considerata come un dato di fatto. Come
condizione sottostante alla vita politico-sociale non può essere in alcun modo
sradicata, come dimostra il fallimento dei modelli di consenso razionale.
I network organizzati devono riflettere sulla propria sostenibilità. I
network non sono di moda. Gli anni Novanta sono passati e l'era del potlatch
non tornerà. I network possono sembrare temporanei ma sono qui per restarci, a
dispetto delle loro costanti trasformazioni. Le singole celle possono morire
prima o dopo, ma c'è un Desiderio di Contestualizzare (Will to Contextualise)
che è duro a morire. I link possono spezzarsi in qualche punto ma questo non
implica la fine dei dati in sé stessi. Nondimeno i network sono estremamente
fragili. Questo potrebbe parere ovvio, ma non si dimentichi che il pragmatismo
è costruito sulle passioni, sulle gioie e i fremiti dell'invenzione. Qualcosa
si inventerà per unire il tempo con questo qualcosa che possiamo chiamare
network organizzato.
È venuto il momento di stilare un programma prudente. C'è una tendenza
autodistruttiva nei network orientati al cambiamento organizzativo.
I network organizzati devono sentirsi liberi di definire i propri sistemi di
valori in termini significativi e rilevanti per le modalità interne alla loro
complessità tecnico-sociale. E questo attualmente non è così difficile. Il
pericolo è la ghettizzazione. Il segreto è tirare fuori un sistema
collaborativo in grado di misurarsi con questioni come il trovare soldi, i
giochi di potere interni e la domanda di “responsabilità” e “trasparenza” nel
momento in cui si sviluppano le loro azioni. E allora parliamo di soldi. I network organizzati, per prima cosa devono
tenere in ordine la loro casa virtuale. È di importanza strategica usare un
provider non-profit e realizzare copie di backup e perfino avviare un mirror in
altri paesi. Inoltre è opportuno non fare uso di servizi commerciali come
Yahoo!Groups, Hotmail, Geocities o Google perché non sono affidabili e soffrono
di periodici problemi di sicurezza. Siate consapevoli dei costi dei nomi di
dominio, degli indirizzi e mail, dell’immagazzinamento e della larghezza di
banda, anche quando sono relativamente bassi. Spesso i conflitti sorgono perché
la password o la proprietà del dominio sono nelle mani di una persona che, in
una situazione di contrasto, abbandona il gruppo. Questo può significare,
letteralmente, la fine del progetto. I network non sono mai al cento per cento virtuali e sono sempre connessi in
qualche punto all'economia monetaria, la quale, in caso lo avessimo
dimenticato, è sotto diversi profili una cultura materiale.
Questo è il punto in cui la storia dei network organizzati ha inizio. Forse
l'integrazione è necessaria. Se non volete annoiare il network con faccende
legali, fatevi il conto di quali saranno i costi. I soldi per le attività
online, per gli incontri, per i lavori editoriali, per il codice, il design, la
ricerca o le pubblicazioni possono naturalmente essere trovati attraverso
istituzioni alleate. Ricordate che più attività online sviluppate,
probabilmente dovrete pagare di più un amministratore di rete. Il mondo intimo del free software usa le sue leggi paradisiache di lavoro
volontario esclusivamente per progettare il proprio codice. Attività culturali,
artistiche e attivistiche non cadono in questa categoria e non ha importanza
quanto ciò possa essere politicamente corretto. Stesso discorso vale per gli
editori di contenuti e per i web designers. Idealmente i progetti online sono
le forme alte dello spirito comunitario e sono in grado di ottenere le
competenze necessarie.
Ma il più delle volte, dopo il momento della partenza, accade solitamente che
il lavoro debba essere pagato. I network organizzati devono comprendere la loro
realtà o rischiano di autoemarginarsi, indipendentemente da quanto sia avanzato
il loro dibattito e il loro uso del network. Discutere intorno al sorgere del
“lavoro immateriale” e del lavoro precario è utile, ma si potrebbe perdere la
spinta propulsiva se si rimane incapaci di effettuare il salto dalla
riflessione speculativa ad un ordine del giorno politico che delinei in che
modo i networks possano essere finanziati nel corso del tempo. I network organizzati sono sempre sul punto di scontrarsi con grosse
difficoltà nel procurarsi le risorse finanziarie attraverso il sistema
monetario tradizionale. È tutt'altro che semplice trovare soldi attraverso
qualche settore statale tradizionale, dalla filantropia o dal business privato.
Le alternative devono essere create. Evidentemente, la principale risorsa di un
network organizzato consiste in quel che esso fa: trattare informazioni e
condurre dibattiti sulle mailing lists, lanciare programmi di educazione
pubblica e archiviare risorse didattiche; open publishing e riviste, libri e
giornali; organizzare workshop, incontri, mostre e conferenze; fornire
infrastrutture che si prestano alla rapida connessione e collaborazione tra
collaboratori e partner potenziali; ospitare siti web individuali, wiki, blog e
così via. Tutte queste attività possono essere intese come media di comunicazione e
scambio. Questa qualità si presta alla conversione in ciò che Bernard Lietaer -
co-designer dell'Euro e studioso di "valute complementari" -
definisce come valuta nelle sue varie articolazioni di funzioni e forme:
"un accordo all'interno di una comunità per usare qualcosa come mezzo di
scambio" (Dykema and Lietaer, 2003). Lietaer dice che ci sono circa 4000
forme di "valute complementari" nel mondo, dai sistemi di fidelizzazione
dei clienti che volano spesso, alle comunità che sviluppano moneta a Bali. Il
sistema dei LETS è forse uno dei sistemi meglio conosciuti di valuta
complementare per chi vive in occidente. In Giappone biglietti di credito per prestazioni di assistenza possono
essere accumulati attraverso servizi che non sono supportati dai sistemi di
assistenza sanitaria nazionali. I crediti possono poi venire utilizzati per
pagare tasse universitarie oppure possono essere trasferiti ad altre famiglie
che hanno necessità di prestazioni assistenziali. Lietaer fa riferimento ad
un'indagine nella quale si mostra come le persone anziane in Giappone
preferiscano servizi di assistenza pagati con "fureai kippu"
(biglietti che attestano relazioni di cura) piuttosto che servizi pagati in
yen.
Queste forme di lavoro affettivo risolvono molti dei problemi e delle
difficoltà che pone l'invecchiamento della popolazione. La principale differenza tra la valuta convenzionale e quella complementare
risiede nel diverso regime di valore inscritto all'interno della modalità di
lavoro e nella logica dello scambio.
Lietaer: "La valuta convenzionale è costruita per creare competizione
mentre la valuta complementare è prodotta per costruire cooperazione e
comunità....". La tensione tra diversi sistemi di valuta crea una forma di
economie miste, e riduce qualsiasi tentazione di lavarsi la coscienza con
l’illusione di una complementarietà che funziona. Se c'è una decisione da prendere e un nemico da individuare è la religione
techno-libertaria del "free". E' il momento di attaccare apertamente
la logica cinica del "pensa positivo" dei capitalisti di ventura che
predicano di dare via contenuti gratuitamente mentre fanno milioni di dollari
nella stanza retrostante con sofwtare, hardware, infrastrutture di
telecomunicazione, di cui le masse di amatori imbecilli hanno bisogno per
prendere e dare gratuitamente. I network organizzati sono cauti nei confronti
dei guru delle consulenze ad alto prezzo che "ispirano" gli altri a
credere che potrebbero vivere la fuori vendendo t-shirt. "Tu povero
sodomita, perdi tempo con i tuoi spaventosi contenuti liberi, mentre noi
facciamo i soldi con quanto e’ necessario". È il momento di togliere il
velo a questa logica e di iniziare a resistergli apertamente. La conoscenza non
basta.
Il punto chiave dei network non è tanto nella loro forma organizzativa ma
nel fatto che un modello di business venga messo all’ordine del giorno. L’
organizzazione in rete, invece, sta definendo i termini per raggiungere la
sostenibilità economica. Laddove i precursori dei network organizzati - mailing
list, blog collaborativi, media alternativi etc. – sono utilizzati per essere
l’avanguardia della ricerca e della pratica, esiste allo stesso tempo
un’innegabile sfiducia verso le organizzazioni in rete. Per troppo tempo il
ghetto della cultura delle liste si è risolto in una auto affermazione che
attualmente costituisce il maggiore ostacolo alle possibilità di crescita. Cosa
è necessario a un network organizzato per svilupparsi ? Forse una trasparenza
nell'organizzazione e un salto nella divisione del lavoro ? È ben noto che le
organizzazioni formali in rete sono specializzate nella ricerca di fondi,
mentre i networks realmente esistenti non li ottengono perché non riescono a
prendersi la responsabilità di un proprio lavoro di lobby e di conseguenza non
riescono a rappresentarsi adeguatamente. È ironico pensare che proprio la
natura globale dei networks rende impossibile il loro finanziamento. Non ci
sono fondi globali per le reti globali – malgrado la retorica anni Novanta.
Relazioni in scala Voltiamo pagina, ora, per rivolgerci a quello che è forse l'aspetto meno
investigato, quello che riguarda la scalabilità. Perché è così difficile per i
network ingrandirsi? Sembra esserci una tendenza a frammentarsi in centinaia di
micro conversazioni. Questo vale anche per il "software sociale" di
blog come Orkut, Friendster e Linkin ai quali partecipano milioni di persone da
tutto il mondo. Per il momento solo il "geekesco" (geeky) Slashdot
riesce a centralizzare le discussioni tra le decine di migliaia dei suoi utenti
online. Le mailing list non sembrano reggere oltre poche migliaia di utenti
prima che la conversazione crolli, per quanto siano duramente moderate. Il
quantitativo ideale di partecipanti per dibattiti aperti e approfonditi pare
sia compreso tra i 50 e i 500. Che cosa significa questo per le moltitudini in
rete ? Fino a che punto questa va considerata una questione di software ?[6]. Il
protocollo necessario potrebbe essere scritto dalle donne ? Certo,
naturalmente, ma quale protocollo potrebbe essere adottato ? Possiamo
immaginare una conversazione su larghissima scala che non abbia solo un
significato ma anche un impatto ? Quale tipo di culture di rete possono
diventare istituzioni grandi e innovative ? Forse i network organizzati resteranno sempre virtuali. Questa possibilità
non dovrebbe essere esclusa. Non c'è un piano segreto di istituzionalizzazione
nel mondo di calce e mattoni. Forse i network organizzati non possono lavorare
in collaborazione con le strutture istituzionali attuali. Se è così, come si
può formalizzare il virtuale?
Per questo non dobbiamo intendere formalizzazione nel vecchio senso secondo cui
il network assumerebbe una struttura gerarchizzata composta da un direttore, un
segretario eletto, e così via. Questo modello è stato adottato dal movimento
bucolico degli anni Sessanta e Settanta e attualmente è la principale ragione
per la quale queste entità sono incapaci di avere a che fare con le domande e
le realtà della socialità di rete. Contro questa modalità di organizzazione,
come potrebbe l'informale raggiungere una capacità di risposta organizzata all’
imprevedibilità dei bisogni, delle crisi e dei ritmi del capitale globale? Tanto instabile come questo modello potrebbe sembrare, forse è la forma
migliore all’habitus dei networks, come abbiamo delineato sopra. È necessario ,
dopotutto, identificare le caratteristiche, le tendenze e i limiti – vale a
dire,” la-breve-storia – del-network” e sviluppare un piano da li. Non c'è
nessun argomento per sostenere che le forme di comunicazione che si sono
stabilite finora possano in qualche modo evaporare e un nuovo progetto
prendere slancio da solo. Questo potrebbe significare l'invenzione di una nuova
rete e ciò vuol dire considerare il tempo di lavoro per definire pratiche e
protocolli attraverso sperimentazioni per prove ed errori. Ma ad ogni modo,
lasciateci vedere emergere nuovi network, lo faranno in ogni caso. Ma la
soluzione non è abbandonare il duro lavoro, le risorse accumulate, le persone
simpatiche - o i marchi, se preferite - che sono stati coltivati finora.
Facciamo il passo successivo. Mentre in apparenza siamo imprigionati in una sorta di crisi perpetua e in
una fase di transizione, è venuto davvero il momento che i network organizzati
definiscano il terreno su cui possano emergere, all'interno del sistema
socio-tecnico, nuove forme di politica, nuove economie e nuove culture. Per
questa via il network si apre a un intera gamma di variabili esterne che hanno
a loro volta la funzione di trasformare le operazioni interne del network.
Questo è il lavoro dell' "esterno costitutivo" un processo di
post-negatività nel quale la rottura e l'antagonismo affermano la vita futura
della rete.
La tensione tra dinamiche interne e forze esterne include una nuova base del
politico. I teorici democratici radicali sono ancora terribilmente lenti e lontani
dall'indagare questo nuovo campo di tecno-socialità. Mentre colgono all'interno
di ideologie come la "terza via" una negazione dell'antagonismo
sociale e di conseguenza individuano la disintegrazione dei principi
democratici liberali, i network organizzati emergenti, per contrasto, vengono
costituiti precisamente dentro questa negazione dell'antagonismo da parte della
cultura liberale democratica. Le strutture istituzionali della democrazia
liberale hanno perso il contatto con il tessuto della socialità e per questo
sono divenute incapaci di indirizzare l'antagonismo politico.
Gli antagonismi non lasceranno la scena come si trattasse di prendere il volo
per le nuove terre della comunicazione. Il network organizzato è aperto agli
antagonismi che includono le relazioni tecno-sociali.
Per questa ragione è urgente che le reti organizzate sappiano confrontarsi con
le questioni di scala e di sostenibilità per creare un nuovo orizzonte
istituzionale nel quale i conflitti trovino uno spazio di espressione e una
capacità di invenzione. Ad accompagnare questa trasformazione è l'analisi delle strutture del potere
e il fatto che i network organizzati saranno sempre esclusi da queste
strutture. Esistono anche strutture di potere interne, informali, la cui
analisi costituisce il primo passo verso la trasparenza. Troppo spesso la
negazione delle strutture esistenti impedisce una discussione su come nuove
forme di organizzazione potrebbero emergere. L'assunto prevalente del
decentramento chiude il dibattito e il lavoro creativo intorno a come le cose
potrebbero essere fatte diversamente. Quel che è peggio, in questo modo viene
ribadito il potere assoluto dei geek. Per i quali questo obiettivo non è
rilevante, visto che possono perpetuare senza problemi la loro classe di
ingegneri senza confrontarsi con le urgenze del passaggio che accompagna i
networks che cercano di confrontarsi con l’inquietudine di nuove socialità. In modo analogo, le strutture che si autodefiniscono networks negano quanto
centralizzate esse siano. Pensiamo ad esempio alla proliferazione di "reti
di ricerca" nelle università. C'è una confusione circa cosa siano le reti
all'interno di queste strutture. Sotto diversi profili si tratta di una
confusione deliberata: fin quando l' istituzione universitaria -
un'organizzazione in rete – irreparabile e incapace di misurarsi con la
complessità delle trasformazioni di una società informatizzata non c'è da
stupirsi se la vediamo come un ennesimo tentativo di allestire una vetrina.
C'è qualcosa di bizzarro nell'idea che se i governi e i gruppi finanziari
investono denaro per progetti che mostrano una corrispondenza con i networks -
qualsiasi cosa il termine significhi - allora, per qualche peculiare processo
magico, "l'innovazione" (altra parola priva di significato) emergerà.
E, come ben sapete, la procedura attraverso cui presentare le proposte,
sviluppare gruppi di ricerca, giustificare i budget, stabilire le tabelle di
marcia, avviare la ricerca, e così via, è esattamente la stessa dell'anno di
raccolto precedente. Risultato: le elites sono ricompensate e il potere viene
consolidato attraverso l'accurato modello dei "cluster" (una parola
piuttosto orrenda che ha avuto origine nel cortile di scuola). Non c'è nessuna
speranza per questi cosiddetti network di contrarre infezioni. Queste reti di
ricerca sono semplici richieste di quarantena. Perchè ? Ma perché è
completamente fallimentare invocare in prima istanza le tecniche di
comunicazione e tacere del connesso modello di finanziamento che serve al solo
scopo di riprodurre l'identico. Legami libertari I network organizzati hanno problemi peculiari con cui confrontarsi. A causa
della mancanza di trasparenza riguardo a chi viene incaricato delle operazioni
e dello sviluppo del progetto, essi sono notevolmente rallentati. Questa è
anche questione di architetture software - basti pensare al fatto che non
possiamo votare ogni mese per eleggere un moderatore. Ma non ci sono ragioni
tecniche perché non ci venga offerta questa possibilità. Piuttosto, si tratta
di un punto contro la cultura dei network - che possono cambiare rapidamente in
termini di applicazioni, ma non in termini di ideologia. Per affrontare questo
problema spostiamo la discussione sui blog, i wiki e le licenze Creative
Commons. I blog sono un'altra tecnologia dei networks, la cui
logica è quella del link. Il link aumenta la visibilità attraverso un sistema
di posizionamento. Questo è il modo in cui i blogger affrontano la questione
della crescita. Ma la questione della crescita non può essere ridotta a quella
della scarsità. Le tecniche dei blog non aggiungono nulla a quanto chiamiamo
network organizzati. Il blogger non ha possibilità infinite ma è governato dal
momento della decisione. Questo non viene fuori dalla scarsità, dal momento che
esiste la capacità di una macchina di leggere altre macchine.
Piuttosto ci sono dei limiti che emergono dall'economia dell'attenzione e
dall'affinità: io condivido la tua cultura, io non condivido la tua cultura; mi
piaci, non mi piaci. Qui vediamo una nuova cartografia del potere che è
peculiare di un' economia simbolica dei networks Piuttosto importante notare che il decisionismo dei link costituisce un
nuovo campo della politica. E' il punto in cui la schizo-produzione giunge alla
sua fine. La Deleuzomania ingenua degli anni ’90 direbbe che ogni punto si
connette con ogni altro. Parlando in termini tecnici non esiste nessuna ragione
per cui tu non possa includere tutti i link del mondo - è quel che fa "The
Internet Archive". I blog, tuttavia, sono incapaci di fare questo - non
perché vi sia un limite di spazio, dal momento che lo spazio è infinito nella
logica del link. Non si tratta neanche di una questione di risorse. Invece si
tratta di un limite che va cercato nell'enclave culturale dei blog. Sono zone
di affinità con le loro proprie procedure di protezione. Se voi siete in alto
nella scala blog dell’associazione desiderabile, il politico viene articolato
attraverso le infinite richieste di link. Queste non potranno essere evase e
faranno nascere il risentimento se non dei nemici. Il nemico è sempre tenuto
fuori. Rimane invisibile. Come tale il blog è chiuso al cambiamento. I blog
possono quindi essere definiti come delle reti incestuose di autoriproduzione. Dal momento che i network organizzati includono nuove forme istituzionali
che sono immanenti al media di comunicazione, noi possiamo affermare che in
ultima analisi i blog non corrispondono ai network organizzati. L'esterno,
nell'ambito dei network organizzati gioca sempre un ruolo centrale nel
determinare la direzione, la forma e le azioni del network stesso. Questo non è
il caso dei blog, dove l'avversario non è mai presente, neanche visibile,
almeno fin quando il network dei blog è costituito dal link, e il link
rappresenta esclusivamente l'amico.
Nell'affermare questo occorre rispondere alla domanda: ma perché i blog sono
visibili nei media mainstream mentre le reti organizzate non lo sono ? Il
blogging nasce come un commentario sui media mainstream: Tv, giornali e
relativi siti web. A un livello discorsivo i blog stavano operando internamente ai
media mainstream. In senso genealogico i blog sono parte dell'industria delle
informazioni. La principale controversia all'interno dell'industria
dell'informazione è stata se i blogger devono essere considerati o meno come
giornalisti qualificati: non sono poeti, scrittori, studenti etc. Attualmente
il blogger è divenuto un professionista con un suo codice etico professionale e
una descrizione dei compiti e sta lavorando in condizioni che noi consideriamo
all'interno del paradigma del post-fordismo flessibile. Del tutto
paradossalmente dunque il blogger attualmente si trova emarginato e messo in
discussione dalle organizzazioni in rete.
Le intime necessità o le condizioni di partenza del blogger non risiedono
dunque nella loro capacità di networking, dal momento che il blogger è
autoperformante. Il lavoro di rete diventa secondario. Ma se avete a che fare
con un blogger che è autoperformante ma privo di link, egli resterà invisibile.
Senza link non esisti. Dunque la performance individuale coincide con il link.
Ugualmente, esiste una differenza tra il lavoro di rete e il lavoro di link.
C'è una forte relazione sociale tra i bloggers caratterizzata da un’ alta
intimità e da una alta rivelazione di dettagli personali. In questo senso
possiamo vedere una corrispondenza tra i blog e i reality show televisivi -
questi ultimi, naturalmente, sono il contrario della logica delle reti. Ma fino
a che punto è possibile trasferire questo spirito anti-rete del reality
televisivo al mondo dei blog ? Questo è precisamente dove abbiamo bisogno di reindirizzare l'idea della
politica. Come abbiamo visto, con i blog, la politica corrisponde al momento
del link, che è facilitato tecnicamente dal software, dal suo funzionamento e
alle decisioni che è necessario prendere. Proprio come il blog è
autoperformante, così accade per la istantizzazione della politica. Entrambi
consistono di una responsabilità invisibile. Il fatto che io NON stabilisco un
link con te rimane invisibile. Le email senza risposta sono l'esempio migliore.
Così, mentre il blog ha alcune caratteristiche della rete, esso non è aperto,
non può cambiare, perché si è chiuso alle potenzialità del cambiamento e
dell'azione. Con i blog, tu puoi commentare ma non puoi postare. I tuoi
commenti potrebbero anche sparire. I blog, analogamente ad altri networks sociali come Friendster, Orkut e così
via, sono caratterizzati, in conclusione, da un software che rifiuta
l'antagonismo. La versione più recente di Orkut ha un'interfaccia software che
taglia via l'intera questione: "Sei mio amico? Yes/No". Solo pochi
hanno il coraggio di dire a qualcuno in faccia "No". Seriamente, che
razza di opzione è mai questa, se non il tentativo di creare un'inflazione di
amici ? Tutti li vogliamo. Ritroviamo noi stessi attraverso i 17 piani di
gioia. Nirvanaland. È in atto una sorta di revival New Age, disperatamente
insicuro e in cerca di un amico. Il wiki offre un altro esempio di network organizzato dotato di
caratteristiche socio-tecniche specifiche. È un caso in cui viene creata
un'intelligenza collettiva, prodotta come risorsa immanente alla forma del
media. E' opportuno comprendere che il modello wiki non funziona in tutte le
culture e in tutti i paesi. Il wiki è specifico. Si tratta di un'operazione
collaborativa. Puoi avere tante idee ma questo non significa che esse si
tradurranno in una risorsa. La facilitazione tecnica che gli è propria non
spiega tutta la storia.
La cultura Giappone o quella Cinese, ad esempio, non amano la piena visibilità:
essere visti, letti, ascoltati. Perché dovrebbero collaborare a questi
progetti? Pensiamo allora alle storie politiche dei diversi paesi. Il wiki presume
che vi sia una volontà di lavorare in pubblico e di condividere la conoscenza.
Ma non si tratta di valori o di aspirazioni di carattere universale. La chiave delle reti è nella tensione tra sistemi aperti e chiusi di
comunicazione, idee e azioni. In termini generali il popolo della e-democracy è
composto di techno-libertari vecchio stampo. Anche il movimento Creative
Commons ricade in questa categoria, come fosse ancora il 1999.
Sempre più spesso vediamo i sostenitori della licenza Creative Commons affermare
di essere "non politici" come se questo atteggiamento potesse far
innamorare quelli delle istituzioni vecchio stile e le industrie
dell'informazione che loro stanno cercando di convincere a passare dall'altra
parte. C'è un ingenuità di fondo nel pensare che se Creative Commons riesce a
dissociarsi dai movimenti, di sinistra in particolare, allora avrà un pieno
successo nella promozione di Creative Commons come alternativa dominante alle
restrizioni dei regimi IP.
Non è possibile, in ogni caso, nessun tipo di fuga dalla politica, e l'ethos
libertario di Lessig e dei suoi adepti farebbe bene ad essere più chiaro a
questo riguardo. La retorica dell'apertura, condivisa dai sostenitori di Creative Commons e
dai libertari ha scelto un orientamento che sconfina nel populismo politico.
Essa confonde le motivazioni politiche e gli interessi economici al lavoro in
questi progetti. L'elite libertaria dei geek fino ad ora ha concretamente
impedito ai networks di mobilitare le proprie risorse finanziarie. E' poi
celebre la completa incapacità dei network di lavorare con un sistema di
micropagamenti in forma di sottoscrizioni, software etc. I geek libertari
offrono una sola opzione: tu dai tutto via gratis, e noi incassiamo i soldi. I
database accademici sono un'eccezione, in cui i contenuti (dati, reports,
articoli etc) possono essere ottenuti con il pagamento di una sottoscrizione.
Le istituzioni sono raffinate in queste soluzioni e non sembrano troppo
preoccupate dell'arretrare di questi servizi di informazione e di editoria. Le
telecom anche agiscono bene - saranno i poveri hacker, gli attivisti, gli
artisti e gli intellettuali a essere tagliati fuori. La provocazione dei network organizzati consiste nel togliere il velo a
questi meccanismi di controllo e alle loro contraddizioni, per discutere del
potere dei flussi di denaro e per ridistribuire gli investimenti. I network
organizzati lottano contro le loro proprie strutture informali. Questo non è il
momento di chiedere un pezzo della torta - i network organizzati non ne
sentiranno neanche il sapore. No, i network organizzati vogliono l'intera
fottuta pasticceria !
Essi non sono modelli per l'economia del network. Perfino il caso di Creative
Commons, che dovrebbe costituire un modello beta di ridistribuzione delle
finanze, rappresenta in concreto un terribile arretramento per il fatto che
moltiplica la necessità dei mediatori - una funzione radicata nell'economia
post-fordista. Tu non puoi cavare denaro dai contenuti, solo fornire servizi
intorno ad essi. In questo modello anni Novanta dell'economia
dell'informazione, essa sembra una sorta di intoccabile oggetto sacro, a
dispetto della sua banalità.
Ancora: le reti organizzate devono finirla con la logica dell'
"information must to be free" se vogliono muoversi verso la
sostenibilità. Angeli investitori L'ideologia libertaria nasconde i suoi specifici meccanismi per fare soldi.
Il movimento libertario dell'open source non è differente, al livello di
struttura, organizzazione e finanziamento dai monopoli delle corporation coinvolte nella produzione dei video game.
Tatticamente, essi concentrano la loro attenzione sul diritto di rimescolare,
che è all'origine dell'attività creativa. Tutto ciò è certamente una bella
cosa. Riconduce all'idea che tutta la cultura è distillata da una fonte comune,
di base. I network organizzati vorrebbero avviare progetti che richiedono
risorse e finanziamenti che vanno oltre la semplice capacità di rimescolare il
codice. In questo senso c'è un parallelo con il crimine organizzato, il cui
obiettivo è ridistribuire risorse rubate e proprietà. Il crimine organizzato è coinvolto nella traduzione. In termini di ciò che i
network sono e devono essere, questo elemento è consapevolmente escluso nelle
architetture del software e oltre. Il riciclaggio e la redirezione delle
risorse finanziarie possedute dalle reti di organizzazione criminale è
precisamente ciò che gli consente di proliferare. I network organizzati hanno
molto da imparare dalla creatività dell'industria criminale se sperano di risolvere
il problema della sostenibilità (vedi Gye, 2004). Ecco a voi la smartcard
"per uscire dalla prigione del free": le reti criminali possono
essere intese come una risorsa equivalente alla 'presenza di network
organizzati di singoli angeli investitori' (ELF, 2002). Fin quando i network organizzati rimangono in condizione di perpetua
esclusione dai modi di finanziamento convenzionali e istituzionali, c'è solo un
opzione che rimane: lasciare il network o, alternativamente, comprendere la
logica del crimine. Non c'è molto da ottenere dai guru dell'open source. A ben
guardare essi non hanno catturato completamente l'attenzione della cosiddetta
cultura di internet.
Invece, sono migrati sulle tradizionali istituzioni culturali, che ora
considerano l'open source come il modello primario. Questo è un esperimento
interessante da osservare almeno fin quando l'open source si scontra con i
limiti del controllo delle istituzioni tradizionali. Rimane da vedere quanto
queste istituzioni saranno capaci di imbragare la logica della distribuzione
libera e di conservare il proprio "marchio" e la propria capacità di
finanziamento. Dato che i network non hanno basi finanziare per le loro attività, perché
qui la responsabilità deve essere considerata un obiettivo? Questo discorso si
ricollega con la questione della trasparenza, della governabilità e del
controllo e quindi con le dinamiche strutturali dei network. Si tratta di
rendere visibile la capacità della rete di sopportare trasformazioni che vanno
precisamente nella direzione in cui la responsabilità mostra i suoi limiti.
Cosa significa responsabilità fuori del contesto della rappresentanza ? Che
cosa significa la rappresentanza all'interno di un sistema politico
post-rappresentativo ? Come funziona ? I network rappresentano se stessi e non un collegio elettorale i cui
interessi richiedono una distillazione all'interno di qualche forma
politico-partitica. C'è sempre la tentazione di rappresentare i network come
collegi elettorali in qualche modo obbligato ad articolare le necessità e gli
interessi di ciò che a livello socio-tecnico è per definizione una formazione
mutevole. Non c'è permanenza qui. Le persone vanno e vengono secondo quel che
ritengono una temporanea affinità e di qualche interesse per loro. Questa,
forse prima di ogni altra cosa, è la condizione primaria a cui i network devono
dedicarsi se intendono intraprendere il passaggio all'organizzazione. [1] Per l’elaborazione del concetto di “esterno costitutivo” e come si
mette in relazione alla media theory e alle politiche dell’informazione vedi
Rossiter (2004) [indietro] [2] Vedi la discussione sulla mailing list di Fibreculture riguardo la
governance della lista, la censura e le reti organizzate in Novembre/Dicembre
2004: www.fibreculture.org, vai
all’archivio della lista (http://lists.myspinach.org/pipermail/fibreculture/).
Più recentemente, le discussioni sulla mailing-list di Spectre su media art e
cultura nella Profonda europa, hanno affrontato la questione delle nuove forme
istituzionali e i modelli di organizzazione nel campo della media art. Vedi la
discussione su “ICC and for the media art center of 21C’, Agosto 2005: archivio
della lista(http://coredump.buug.de/pipermail/spectre/).
[indietro] [3] Vedi anche l’introduzione e la conclusione di Geert Lovink a My First
Recession (2003). La teoria dei networks organizzati deve essere letta come un
seguito di questo libro. [indietro]
[4] Jeff Juris (2005) descrive tensioni simili tra ciò che chiama
“orizzontali” ( movimenti attivisti auto-organizzanti) e “verticali” (
istituzioni tradizionali) come è accaduto nei vari Social Forum in anni
recenti. In realtà, tutte le forme di tecno-socialità combinano forme di
organizzazione sia verticali che orizzontali . Il nostro argomento non va nella
direzione di una distinzione forte che separa questi modi di organizzazione
come su una scala graduata. [indietro] [5] Uno dei molti incroci tra computer science e scienze umane,
come proposte da Michael Gurstein e altri. Alcuni dei loro testi si trovano su http://www.netzwissenschaft.de/sem/pool.htm. [indietro] [6] Qui stiamo pensandoa “ soluzioni software” collaborative,
peer-to-peer come Paper Airplane http://paperairplane.us.
Grazie a Soenke Zehle per aver segnalato questo sito. [indietro] Bibliografia Bifo (Franco Beradi). 'Biopolitics and Connective
Mutation', trans. Tiziana Terranova and Melinda Cooper, Culture
Machine 7 (2005), http://culturemachine.tees.ac.uk/frm_f1.htm. Debray Régis. Media Manifestos: On the Technological
Transmission of Cultural Forms, trans. Eric Raut (London and New York:
Verso, 1996). Dykema, Ravi and Lietaer, Bernard. 'Complementary
Currencies for Social Change: An Interview with Bernard Lietaer', Nexus:
Colorado's Holistic Journal (July-August, 2003), http://www.nexuspub.com/articles/2003/july2003/interview.htm. Edward Lowe Foundation (ELF). 'Building Entrepreneurial
Communities', 2002, http://edwardlowe.org/pages/documents/building.pdf. Gye, Lisa. 'POS: Organised Networks', posting to
fibreculture mailing list, 24 November (2004), http://lists.myspinach.org/pipermail/fibreculture/2004-November/004237.html. Juris, Jeffrey S. 'Social Forums and their Margins:
Networking Logics and the Cultural Politics of Autonomous Space', ephemera:
theory & politics in organization 5.2 (2005): 253-272, http://www.ephemeraweb.org/journal/5-2/5-2juris.pdf. Lovink, Geert. My First Recession: Critical Internet
Culture in Transition (Rotterdam: V2_/NAi Publishers, 2003). Rossiter, Ned. 'Creative Industries, Comparative Media
Theory, and the Limits of Critique from Within', Topia: A Canadian Journal
of Cultural Studies 11 (Spring, 2004): 21-48. --------------------------------------------------------------- Traduzione a cura di Pino (Rattus) Nicolosi e Vincenzo Bitti
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versione in pdf
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